E così quello che fino a poche ore prima nessuno si aspettava è successo. Le previsioni lo davano come outsider, senza possibilità di nessun genere, visto che lo scontro si prevedeva tra Dilma Rousseff e Marina Silva, ma alla fine si è sviluppata una situazione che solo la notte precedente le elezioni prendeva corpo: quella del socialdemocratico Aecio Neves. L’economista di Belo Horizonte ha totalizzato il 33% dei voti contro quelli di Rousseff, 41%, mentre l’ecologista Silva si è fermata al 21,3%. La seconda votazione, questa volta a maggioranza relativa, si svolgerà il 26 ottobre e paradossalmente le regole le detterà proprio la candidata perdente: perché è logico che se Neves vuole i suoi voti dovrà garantire quelle aperture alla politica di Silva che paradossalmente, in caso di una sua vittoria, sarebbe stato arduo mettere in atto visti i pochi spazi politici di manovra alle Camere del suo Partito socialista.



La partita quindi è ampiamente aperta, ma il risultato ha messo in evidenza il fallimento della politica del Partido do Trabalhadores dell’attuale Presidente. Scandali a parte, Rousseff ha tentato di raccogliere voti dalle classi più povere, beneficiate dai sussidi a pioggia e difatti nel nord-est del Paese, la zona più economicamente disastrata, Dilma ha ottenuto le sue percentuali più alte. Ma la sua sconfitta è stata nelle grandi città, dove una classe media sempre più grande, generata dalle politiche dei passati governi di Lula, ha mal digerito il populismo fine a se stesso di stampo presidenziale. Adesso, lo ripetiamo, tocca a Marina Silva decidersi e se, come probabile, dirigerà i propri elettori su Neves, Rousseff sarà sconfitta.



È un altro sintomo di un’America latina che vuol cambiare, non più disposta ad accettare presidenti “eterni” che poi alla fine devono appropriarsi delle banche centrali per avere i fondi necessari a finanziare le proprie politiche a perdere fatte di statalismo esasperato. Ormai stiamo arrivando alla terza generazione di famiglie che sono state assistite da sussidi con nomi altisonanti, ma che alla fine non hanno voluto immettere la cultura del lavoro come nucleo dei programmi, contando su di un assistenzialismo fine a se stesso, soprattutto una macchina inesorabile di consenso elettorale. È l’uso della povertà solamente in funzione del proprio potere (e delle ricchezze individuali) che porta a non garantire un futuro degno, una vita qualitativamente tale: e non è un caso se alla fine si arriva a preferire un’alternativa liberalista rispetto al compromesso ecologico dettato da Silva.



Aecio Neves è nipote di Tancredo, uno dei principali protagonisti dell’introduzione della democrazia in Brasile. Ex governatore del Minas-Gerais, senatore dal 2010, è autore di un progetto che mira a ridurre le tasse sia per le imprese che vogliono svilupparsi che per le aziende sanitarie, attualmente stremate dalle enormi imposizioni fiscali. Nei suoi programmi da segnalare anche corsi di formazione lavorativi da imporre alle imprese, che però godranno di ulteriori sgravi fiscali, e una facilitazione delle adozioni. E il fatto di dare un impulso straordinario alla cultura, così come ha fatto a belo Horizonte, capitale del Minas Gerais, città che ha subito una trasformazione radicale che l’ha trasformata in un modello culturale per l’intera America latina.

Si tratta in definitiva di un liberalismo controllato che mira a una gestione più efficiente delle risorse dello Stato e al recupero della cultura del lavoro attraverso piani che favoriscano l’inclusione di strati ancora emarginati della società, con lo scopo di un’introduzione fattiva e non basata sulle elemosine a fondo perduto attuali. Oltretutto forti somme verranno destinate al rafforzamento della sicurezza, altro grande problema del Brasile, sebbene si sia ormai a livelli di delinquenza profondamente inferiori a quelli di un ventennio fa, specie nelle grandi città dove a una certa ora era impossibile girare.

Attendiamo di vedere cosa deciderà Marina Silva, ma è ragionevole pensare che non perderà un’occasione come questa, dove tra le condizioni per il suo appoggio c’è quella di un apertura al suo progetto di rispetto dell’ambiente. Ma, vada come vada, questa ulteriore tornata elettorale è la prova definitiva che le politiche di potere “eterno” escono sconfitte dalla voglia di vivere una democrazia vera: perché è proprio nell’alternanza dei poteri che altre persone potranno seguire i passi di Marina Silva. Uscire dall’emarginazione sociale e essere protagoniste della vita di un Paese che ha saputo in breve tempo trasformarsi in una potenza e, non ultimo, da debitore a creditore degli Usa.

Insomma, è il nuovo che finalmente avanza: quando lo capirà l’Europa?