Nella tragedia che colpisce la gente di Gerusalemme, sentire attribuire le violenze di oggi al leader di Fatah in carcere dal 2002, Marwan Bargouthi, appare ridicolo. Un leader ancor oggi popolare, ma nessun appello alla resistenza contro gli israeliani, nessun appello ad una terza Intifada, potrebbe smuovere qualcosa che non sia già precario.
Dieci anni fa si impediva, il venerdì, agli uomini musulmani con meno di 35 anni di salire alla Spianata delle Moschee. In questi ultimi due anni il limite è divenuto di 50 anni ed ha riguardato, nelle ultime settimane, anche le donne. La polizia israeliana ripete che è una misura preventiva per allontanare dalla Spianata delle Moschee e dal sottostante Muro del Pianto persone potenzialmente, per l’età, più disponibili a scontrarsi con la polizia. Un’affermazione che dimostra, drammaticamente, il fallimento nell’ultimo decennio di un controllo della situazione a Gerusalemme solo sul piano “poliziesco”.
Come accade spesso, per militari e poliziotti scaraventati in prima linea, adesso sono proprio “fonti della polizia israeliana” a raccontare ai giornalisti (affinché i politici israeliani intendano) che la situazione a Gerusalemme non si può risolvere con l’uso della polizia.
Una conferma che la situazione sia oltre il limite di rottura la si ricava dalle parole del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, da sempre un “falco”, che in questi giorni ha definito “stupidi” i deputati della Knesset che si affollano a passeggiare sulla Spianata delle Moschee- Monte del Tempio, obbligando la polizia a proteggerli con grande dispiegamento di forze. Passeggiate-preghiere che vengono giornalmente ripetute da gruppi di ebrei dell’estrema destra. L’obiettivo “buono” è chiedere libertà di preghiera per gli ebrei sulla Spianata delle Moschee-Monte del Tempio. Il risultato “cattivo” è esasperare la comunità palestinese e musulmana di Gerusalemme, che ha nei gruppi della destra israeliana e nella polizia gli unici interlocutori. Il governo Netanyahu per molti mesi ha taciuto su questo evidente tentativo di cambiare anche lo status quo della città vecchia di Gerusalemme. Per poi affermare, quando le proteste palestinesi sono scoppiate, che non è suo obiettivo cambiare gli attuali assetti.
La storia di Gerusalemme, comunque, è ricca anche di altri capitoli. Ad esempio, gli sfratti di centinaia di abitanti palestinesi dall’area di Silwan, a ridosso della zona archeologica ebraica, in espansione, della città di Davide, sotto le mura che delimitano la Spianata delle Moschee. Anche di questo si è parlato nei tanti rapporti dei Consoli generali europei, presenti a Gerusalemme.
C’è poi l’espansione dei quartieri e degli insediamenti ebraici. Ormai siamo vicini a 250mila coloni ebrei all’interno della Gerusalemme araba, su una popolazione complessiva di tutta la città di 800mila persone.
C’è inoltre un clima umano, ulteriormente impaurito ed incattivito. Molti genitori palestinesi ora vietano ai propri figli adolescenti di percorrere molte strade della città, dopo il rapimento e l’uccisione questa estate del ragazzo palestinese di 16 anni il cui corpo fu bruciato da una gang di giovanissimi ebrei.
Infine, anche i morti e i feriti dell’ultima guerra a Gaza si sono visti sui televisori e sui computer dei palestinesi di Gerusalemme. A dispetto di coloro (israeliani in primo luogo, ma anche europei ed americani) che vogliono dividere Gaza dalla Cisgiordania, e la Cisgiordania da Gerusalemme, tutto invece si tiene, nella storia e ancor più nella nostra era mediatica.
Quello che tragicamente accade nel nord dell’Iraq ed in Siria, può ripetersi, in piccolo, anche a Gerusalemme. Più del fanatismo degli islamisti radicali, sarà responsabilità della spregiudicatezza e degli errori politici di coloro che si troveranno a combatterlo. Esistono anche documenti che raccontano questa spregiudicatezza sul terreno e questa ignavia politica. Ne ricordo uno, ma importante.
Erano gli anni di Gianfranco Fini ministro degli Esteri. Un tempo ormai lontano: dal novembre 2004 al maggio 2006. L’allora ministro degli Esteri aveva nei confronti del Medio Oriente e di Israele, in particolare, un’attenzione speciale. Da poco, infatti, si era consumata la riabilitazione di Fini, uomo politico della destra, nel consessi internazionali, anche grazie al suo viaggio in Israele, alla condanna delle leggi razziali fasciste, alla sua accoglienza in terra di Gerusalemme anche da parte della comunità ebraica italiana emigrata in quella città.
Dopo qualche tempo dall’inizio del suo incarico arrivò sul suo tavolo di lavoro alla Farnesina un allarmato rapporto sulla situazione a Gerusalemme. Era redatto e sottoscritto da otto Consoli generali a Gerusalemme, tra questi c’era anche il Console generale italiano. Quel rapporto, inviato ai ministri degli Esteri dell’Unione Europea, descriveva con minuzia di particolari la politica israeliana a Gerusalemme e l’obiettivo israeliano di rendere impossibile, nei fatti, che quella città divenisse anche la capitale del futuro stato palestinese. Un obiettivo perseguito, si diceva, anche a costo di conseguenze dirompenti nel rapporto tra la comunità palestinese e quella ebraica, attraverso l’espansione degli insediamenti ebraici intorno e all’interno dei quartieri arabi.
Il ministro Fini prese atto di quel rapporto, ma chiese ed ottenne che a Bruxelles, in sede comunitaria, non si svolgesse un esame politico e pubblico di quanto scritto dai diplomatici europei presenti a Gerusalemme. Da allora quel rapporto giace nei cassetti della Farnesina e delle altre sedi diplomatiche europee. A quel rapporto altri ne sono seguiti, descrivendo una situazione sempre più instabile a Gerusalemme. Nessuna di quelle accurate analisi ha prodotto conseguenze politiche a livello europeo.
La diplomazia italiana e quella europea, che pur hanno non poche manchevolezze nell’analisi dei problemi in Medio Oriente, nel caso di Gerusalemme invece hanno mostrato una capacità di denuncia, indubbia e di lunga data.
Sono stati invece i politici, non solo quelli italiani, a nascondere il macerarsi del problema Gerusalemme. Mettiamo da parte gli interessi legati alla politica interna italiana; più in generale ha dominato tra i politici europei, su Gerusalemme, il principio che israeliani e palestinesi dovessero decidere l’assetto futuro della città in sede di trattative di pace. Non era opportuno interferire in questa delicata questione: questa la considerazione politica che è divenuta nel tempo un vero e proprio alibi, di fronte al mutare, imposto dagli israeliani, della realtà di fatto a Gerusalemme.