Una banda di miliziani dell’organizzazione islamista somala al-Shabaab penetrata nella contea di Mandera, un’area dell’estremo nord del Kenya al confine con la Somalia, dopo aver sequestrato un autobus in viaggio verso Nairobi ha preteso dai passeggeri la recita di passi del Corano e ucciso a freddo con un colpo di pistola alla nuca tutti coloro che non sono stati capaci di farlo. Le vittime, uomini e donne per lo più cristiani, sono 28. Confinante con la Somalia, paese quasi esclusivamente musulmano, il Kenya è invece in maggioranza cristiano. I musulmani sono soltanto il 6 per cento circa, e i fedeli delle religioni animistiche tradizionali circa il 30 per cento. Il tragico episodio riporta alla ribalta un’altra parte dell’Africa dove organizzazioni terroristiche islamiste sono in armi contro i cristiani. Il caso della Nigeria è oggi il più grave, ma appunto non è il solo.  D’altra parte pure altrove — come innanzitutto nel nord della Siria e rispettivamente dell’Iraq — movimenti armati di analoga ispirazione stanno accanendosi come si sa contro varie minoranze, ma in primo luogo contro i cristiani. 



Non serve a niente, nemmeno al buon nome dell’islam, cercare di annebbiare la sostanza delle motivazioni e gli obiettivi privilegiati di queste campagne terroristiche, come molta stampa internazionale si ingegna a fare con un impegno degno di ben miglior causa. Oggi nel mondo è in corso una persecuzione cruenta contro i cristiani ad opera di un movimento che si radica in ambiente musulmano e che pretende di richiamarsi all’islam. E questo movimento, che è tale nel significato originario della parola (dunque fluido, policentrico, ma non per questo meno consistente),  è uno dei maggiori ostacoli che nel nostro tempo si oppongono all’autentico progresso dell’uomo. 



Quali i motivi all’origine di tanto rancore? In sostanza un’invidia verso i cristiani in quanto più capaci di reggere con successo alla prova del confronto con la modernità. Tenuto conto della rilevanza dell’islam sia nella storia che nel presente della civiltà umana occorre dispiacersene, e noi ce ne dispiacciamo sinceramente, ma le cose stanno così. E appunto il negarlo non serve a niente e a nessuno.  

Nell’immediato la mobilitazione contro questo pericolo ha, e non può che avere, anche aspetti politici e militari. A lungo termine però è evidente che le battaglie fondamentali sono quelle che si devono combattere in sede culturale e all’interno dell’islam stesso. A tali battaglie si può dare discretamente dall’esterno tutto l’aiuto possibile, ma questo per definizione non può essere determinante. Sono i musulmani di buona volontà che le devono combattere. E questo purtroppo finora non è accaduto in tutta la misura del necessario. E’ indispensabile che dentro il mondo musulmano, in modo tanto esplicito quanto autorevole, il terrorismo islamista venga smascherato e squalificato. I musulmani di buona volontà non devono più consentire che delle bande di razziatori e di tagliagole  possano impunemente accreditarsi presso masse giovanili disorientate come campioni dell’islam puro e intransigente. 



A questo riguardo dieci anni fa si era registrata un’iniziativa importante, che poi però non è cresciuta come si sperava. Per impulso del re Abdallah di Giordania, circa 200 autorevoli studiosi musulmani provenienti da cinquanta diversi paesi del mondo elaborarono un “Messaggio di Amman” (“Amman Message” nella versione inglese) che il 9 novembre 2004 venne rivolto all’intero mondo musulmano. Obiettivo del documento: “rimettere in piena luce gli essenziali valori islamici della compassione, del rispetto reciproco, della tolleranza, dell’accettazione e della libertà religiosa”. Nel testo, e in altre dichiarazioni ad esso collegate, si toccano punti di rovente attualità quali chi ha diritto di venire riconosciuto come musulmano, da chi e per quali motivi un musulmano può venire scomunicato, chi ha titolo per emettere delle fatwa (sentenze di condanna) ecc. Non possiamo soffermarci qui sul documento nel dettaglio, che comunque si può trovare facilmente sul web anche in inglese, in francese e in altre lingue d’uso internazionale. Vale la pena di andarselo a leggere: vi si ritrovano infatti, in modo ben fondato da un punto di vista islamico, i principi di un islam assai diverso da quello delle organizzazioni del terrorismo islamista.

Come pure per analoghi motivi il re del Marocco, in forza della sua discendenza dal profeta Maometto e della grande storia della sua dinastia, il re di Giordania ha un rango che nel mondo islamico nessuno gli può contestare. Ciononostante il Messaggio di Amman non ha sin qui raccolto l’adesione autorevole, esplicita, diffusa e attiva senza la quale il mondo musulmano non può efficacemente emarginare i cupi furori dell’estremismo islamista. 

Sarebbe invece oggi quanto mai importante che al suo massimo livello organizzativo, al livello cioè dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, e per iniziativa delle sue istanze più autorevoli, il mondo musulmano facesse proprio il Messaggio di Amman, oppure qualcosa di simile. E ne traesse poi tutte le conseguenze. Sollecitare e favorire sviluppi del genere: ecco un ottimo obiettivo per la politica estera di un paese come il nostro. Grazie infatti alla nostra consolidata rete di rapporti con il mondo arabo, lo potremmo fare molto meglio del resto degli stati membri dell’Unione Europea, per non dire degli Stati Uniti.