Con una vistosa e drammatica assenza di strategia, l’Occidente vive sospeso in un mondo in rapidissimo cambiamento. Guerra e pace, crescita e fallimento, patto sociale e mercato, rispetto dei diritti e determinismo realista, l’Occidente non ha una strategia restando confusamente sospeso in un onirismo demagogico che nella distorsione del gioco di specchi scivola in un populismo stucchevole e aggressivo.



Non è così per il resto del mondo. Cina, Russia, India, Iran, Sudafrica e Brasile – cioè due terzi delle terre e più della metà degli abitanti del pianeta – hanno strategie nazional-regionali e stanno costruendo un sistema economico, sociale, politico e di sicurezza indipendente dall’Occidente. Non è un caso che la Chiesa Cattolica – la più antica e longeva istituzione dell’Occidente – ha compiuto una metamorfosi che riflette il cambiamento. Nel 2014 la Chiesa ha nominato, da ultimo, Richard Gallagher, primo inglese a dirigere il Foreign Office del palazzo apostolico, e George Pell, un australiano nominato super ministro delle Finanze che, di pari grado dell’italiano Segretario di stato Pietro Parolin, risponde direttamente al Papa. Come ha notato Piero Schiavazzi, “la Chiesa oggi è più anglofona, empirica ed euroscettica”. Ne sentiremo le note nel discorso di Papa Bergoglio al Parlamento europeo in programma oggi, che, non a caso, è la festa del ringraziamento.



In preparazione dell’imminente visita del Papa in Turchia, si stanno delineando gli assi strategici che l’antica istituzione occidentale sta sviluppando: si chiederà al “Sultano” di opporsi al “Califfo”; l’Iran non solo dovrà essere reintegrato ma addirittura le relazioni con la comunità internazionale si dovranno “moltiplicare”. Insomma, un chiarissimo riconoscimento “dell’altro mondo”!

Mentre gli stati d’Occidente restano prigionieri di visioni vecchie che non sono più capaci di generare strategie, si procede con proclami demagogici dal sapore amaro. Ad esempio, l’immigrazione è ancora trattata con restiva condiscendenza che non tiene in conto la realtà delle responsabilità e i numeri demografici. Eppure dall’indipendenza dell’India (1947) dovrebbe essere ben chiaro a tutti che con questi fatti non si può continuare a giocare come se nulla fosse, o come ha fatto Obama con misure demagogiche che hanno solo una finalità elettorale. Ancor peggio in materia di sicurezza e difesa, assistiamo a un’apologia e un’apostasia che lascia campo libero a un’estenuata super potenza americana sempre più incapace e riluttante a svolgere il ruolo che fu britannico di gendarme del mondo.



Sul piano sociale si rasenta l’assurdo cosmico riciclando ricette vecchie dell’ottimizzazione dei processi industriali quando ormai è evidente che l’Occidente sarà sempre più de-industrializzato, e che la promessa della piena occupazione non potrà che essere disattesa. Ancor più disperata è la situazione di un’Europa che discetta di immaginifici programmi per il rilancio dell’economia e dell’impiego pensando di impiegare miserie dell’ordine di poche centinaia di miliardi di euro. Su questioni più gravi – perché segnano il futuro delle nostre generazioni e del mondo – dalla tutela ambientale all’educazione, dalla sanità alla finanza, l’Occidente propone poco o nulla. E, peraltro, quel poco che propone non lo attua in senso pieno e coeso, lasciando spazio a odiose eccezioni e incomprensibili asimmetrie. L’Occidente è al palo!

Per non passare per il solito “gufo” o per il cantore di litanie, sono convinto che la nuova realtà debba stimolare l’ingegno per trovare una nuova dimensione del nostro vivere in questo pianeta che non è più, e non sarà più, a immagine dell’Europa. La stessa Europa che pretende ancora di essere un nodo geopolitico mondiale – come l’inconsapevole Federica Mogherini ben rappresenta – deve ammettere che il progetto è stato sorpassato dai fatti. Le tristi dichiarazioni di Mario Draghi (Bce) o gli eclettismi dell’etilico Jean-Claude Juncker (Commissione europea) non fanno che rimandare il momento della presa di coscienza della verità e della realtà. Quanto ai governi, essi appaiono marziani rispetto alle realtà sociali che devono governare. Difese dei modelli del passato o spinte autoritarie per il cambiamento non sono destinate ad avere alcun successo.

Come abbiamo avuto modo di scrivere in passato, il futuro dell’Europa non può che essere ispirato a un “populismo progressista” che esalti il valore dell’identità europea. Quest’ultima, ci perdoni il dott. Renzi, non può essere disgiunta dalle conquiste sociali e dei diritti. Il vero tema, come hanno segnalato quasi tutti i premi Nobel per l’economia, è la gestione sana delle diseguaglianze. Il nostro Renzi, obbligato a fare riforme, ne sta producendo una sul lavoro che produrrà una mostruosità. Come ha scritto Luciano Gallino, “oltre che tra i lavoratori e le classi possidenti, le disuguaglianze aumenteranno tra gli stessi lavoratori”. Si tratta di una riforma obbligata dall’odiata Troika (Fmi-Bce-Ue) che è astratta rispetto alla realtà mondiale, è ideologica e dannosa, ispirata al mito della produttività che in Europa dovrebbe poter competere con quella cinese. Un assurdo ideologico! I nuovi “lavoratori poveri”, in tema di frutti della produttività, avranno ben poco da spartirsi.

Che la Nato in materia di difesa e sicurezza europea sia l’unico strumento funzionante è cosa certa. Ma questo non deve voler dire che gli europei non possano, anzi non debbano, clonare la Nato in senso e significato europeo, seguendo una strategia che rifletta il proprio senso identitario, sia per la sicurezza e la difesa sia per la gestione economica e sociale. Il quasi fracasso dell’orribile trattato segreto Ttip offre un’opportunità unica perché l’Europa sia europea. Approfittiamone senza reticenze!