I fatti di Ferguson negli Stati Uniti, l’ondata di devastazioni avvenute in tutto il paese come reazione all’assoluzione del poliziotto che ha ucciso un ragazzo di colore, fanno ragionare su un’altra ondata, di una nuova, strana, confusa morale che avanza, spesso in modo dittatoriale. Essa tocca anche e soprattutto le parole.
Sto pensando, ad esempio, al termine “negro”, oggi tabù: chi la pronuncia sa di rischiare l’accusa di razzismo. Ma, vocabolario alla mano, esso designa semplicemente e precisamente le persone la cui pelle è connotata da un pigmento più scuro. Punto. Non parliamo neppure di razza, poiché solo gli stupidi ignorano che la razza umana è una sola. Eppure è proibito e, cosa ancor più paradossale, è sostituito da una parola, vocabolario alla mano, più netta e offensiva: nero.
“Negro” ha invece un’accezione coloristica sfumata e precisa insieme: Silvia, l’amore di Leopardi, ha “negre chiome”, cioè è mora; il figlioletto di Carducci, morto prematuramente, è sepolto nella “terra negra”, cioè marrone scuro. Non risulta che i due poeti fossero razzisti, sta di fatto che, per l’uso dispregiativo di qualche idiota nel passato, la parola è vietata dalla nuova morale avanzante. L’esempio è un po’ bizzarro, capisco, ma i risultati sono drammatici e sotto gli occhi di tutti. Per quanto riguarda i fatti di Ferguson, ad esempio, può darsi benissimo che il poliziotto abbia sparato per difendersi da chi lo aveva già aggredito e stava per mettere a rischio la sua vita, come d’altronde ha sentenziato il Gran Giurì.
Ma il tragico esito della sparatoria (a chi, sano di mente, non dispiace per la morte di un giovane?) ha scatenato l’inferno in America perché quel ragazzo era una persona con pigmenti scuri nella pelle. I devastatori danno per scontato che, se l’aggressore avesse avuto pigmenti chiari, non sarebbe stato ucciso, e per reazione fanno quel che fanno, contravvenendo persino le suppliche dei genitori del ragazzo. Qualcuno poi dovrà spiegare cosa c’entri con la protesta antirazzista, che so, il saccheggio dei negozi di cellulari; ma c’è da prevedere che si chiuderà più di un occhio, in nome appunto della confusa morale che avanza. E avanza anche da noi.
L’Italia ha molti difetti, ma bisogna riconoscere che coi pigmenti della pelle abbiamo meno problemi. La stragrande maggioranza di noi sa essere più accogliente degli statunitensi. Diciamo la verità: se una persona si comporta con dignità, lavora e si inserisce cordialmente nelle nostre città accettandone le leggi e i costumi, ci importa ben poco dei pigmenti e della forma degli occhi. Con buona pace dei laicisti, questo è il risultato della stoffa cattolica e comunitaria degli italiani che ancora determina il nostro carattere, forse residualmente.
La strana, confusa neomorale da noi si manifesta invece sulle questioni riguardanti l’omosessualità. Episodi recenti mostrano quanto è pericoloso anche solo parlarne, usare le parole: un’insegnante in Piemonte ha subito la gogna amministrativa e mediatica solo per aver raccontato in classe l’episodio di un percorso psicologico di uscita dall’omosessualità effettivamente accaduto a una persona; in Friuli un insegnante gay ha rabbiosamente staccato il crocifisso dalla classe, commettendo un atto fuorilegge, in reazione ad un’indagine conoscitiva della diocesi.
Chi vuole parlare dell’argomento è avvisato: stia attento alle conseguenze. Usare le parole su certi argomenti per riferire anche solo informazioni è pericoloso, soprattutto se siete cattolici, l’unica categoria che, chissà perché, la neomorale confusa continua pervicacemente a non voler proteggere.