LIPSIA — Nel 2015 la riunificazione tedesca compierà 25 anni. Il primo passo verso di essa, anche se non automatico, visto che molti nella ex Ddr avrebbero voluto dapprima riformare il socialismo (e non creare un altro stato), si è compiuto il 9 novembre del 1989, venticinque anni or sono, con la caduta del Muro a Berlino. Dopo dodici anni vissuti nei nuovi Länder, cioè in quelle regioni, che sono sorte dopo la riunificazione, credo di poter scrivere con cognizione di causa su questo tema. Incomincio a scrivere questo articolo con alle mie spalle la Nikolaikirche (chiesa di san Nicola) a Lipsia, in cui in quegli anni ci si incontrava per pregare, anche come segno di protesta nei confronti della Ddr, e da cui partirono quelle manifestazioni che di lunedì in lunedì divennero sempre più intense e contribuirono a far crollare il sistema politico della Ddr. Il parroco luterano che accompagnò quegli incontri di preghiera, Christian Führer, è morto da poco, nell’estate di questo anno: il suo nome sta per il contributo della Chiesa evangelica luterana alla rivoluzione non violenta degli ex cittadini della Repubblica democratica tedesca.
Un abate benedettino, Franziskus Heeremann, nel convento di Neuburg (Heidelberg) mi ha sorpreso con queste poche parole, pronunciate durante le intenzioni di preghiera nella messa mattutina del 3 ottobre, il 24esimo anniversario della riunificazione, e che cito liberamente: la riunificazione è stata certamente un dono, ma anche, non dobbiamo dimenticarlo, per molti, la perdita della propria patria ed anche di un certo orientamento di vita. Sorprendente è il fatto che un monaco, che vive nell’ovest della Repubblica federale tedesca, abbia questa sensibilità. Una sensibilità che in me è presente per le amicizie coltivate con alcune persone che sono nate ed hanno studiato nella Ddr, e che oggi è provata da un dato sorprendente: dopo quasi 25 anni dalla riunificazione, il partito che è l’erede della Sed (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, Partito di Unità Socialista di Germania) della vecchia Ddr, Die Linke, ha nei nuovi Länder spesso più del 20 per cento dei voti.
Fornisco qui alcuni dati dalle ultime tre elezioni regionali in Sassonia,Thuringia e Brandeburgo, svoltesi in questo autunno e che hanno visto tra l’altro l’ascesa straordinaria del partito conservatore AfD, che ho già presentato al pubblico italiano.
Nella Turingia (14 settembre 2014) Die Linke è stato il secondo partito con il 28,2% (nel 2009 aveva il 27,4%) dopo la Cdu (33,5%). Anche in Sassonia il partito di sinistra raggiunge quest’anno la seconda posizione con il 18,9%; qui però la Cdu è molto forte (39,4%). In Brandenburg (2014) è la terza forza politica con il 18,6% con una Spd al 31,9% (un dato sorprendente questo, perché il partito socialista democratico non è riuscito a diventare una presenza popolare nei nuovo Länder dopo la riunificazione), la Cdu al 23%. Nella Sassonia-Anhalt le ultime elezioni regionali sono state fatte nel 2011: allora Die Linke era il secondo partito con il 23,7%, mentre la Cdu con il 32,5% può governare solo con una coalizione con la Spd. Il partito è presente anche a livello nazionale (2013) come terza forza politica con l’8,6%.
Questi dati rivelano quel fenomeno che noi chiamiamo della Ostalgie (nostalgia dell’est), nostalgia della patria che si è persa. Parlando con l’ex ministro della cultura della Thuringia (2008-09), Bernward Müller, ho potuto comprendere la tattica vincente dei “Linke”: a questo partito è riuscito di compiere uno slittamento interpretativo che non permette un reale confronto con il passato: le critiche al sistema della Ddr vengono intese da molti come una critica ad personam, quasi che dire che il sistema economico e politico della Ddr fosse un sistema in bancarotta significasse dire che tutti i cittadini della Ddr fossero stati pigri incompetenti.
Per Müller il dato ancora più grave della percentuale di voti per questo partito che sono stati più o meno costanti, con una leggera discesa e poi risalita nelle ultime elezioni, è il numero sempre maggiore di astenuti. Questo lo spiega con la delusione che si è manifestata dopo l’entusiasmo causato da una moneta forte come il marco tedesco e la conseguente possibilità di viaggiare. A deludere era la nuova “normalità” nella quale la gente, sia di livello sociale alto sia medio-basso, si era ritrovata: chi prima aveva il potere ora lo aveva perduto, e questo non solo a livello dei notabili di partito, ma anche di persone come potevano essere i commessi di un negozio, che non erano commessi come li intendiamo noi, ma gente che dava la merce rara che si aveva a chi dava loro una mancia. Un sistema di “prebende secolarizzate”, che dava a certe persone un potere su altre, e che con il sistema neoliberale e capitalistico è andato perduto.
Questo ovviamente non significa che nella Ddr fossero tutti corrotti. Ci sono state persone che con la caduta del Muro hanno pensato di poter attivare un socialismo “umano” (per esempio Volker Braun di cui parlerò dopo), un socialismo che non spegnesse il desiderio utopico dell’uomo, e che con la riunificazione si sono trovate di fronte un capitalismo che — per dirla con un filosofo coreano di lingua tedesca, Byung-Chul Han — ha distrutto ogni forma di “tempo” che non sia quello dell’efficienza e del capitale.
In questi giorni Die Zeit ha pubblicato una ricerca fatta da “Infratest dimap” negli anni dal 1968 al 1989 (intervistati erano dei tedeschi dell’ovest che riferivano l’opinione delle persone che avevano contattato o che conoscevano nell’est), che la Thüringische Landeszeitung (30 ottobre ’14) riassume con il titolo: “Viele Ddr-Bürger standen ihrem Staat fern” (“Molti cittadini della Ddr si sentivano lontani dal loro Stato”). Ma anche in questo studio è interessante il dato che il 50% dei tedeschi erano allora soddisfatti del loro Stato e che forse sono gli stessi a dire oggi che “allora non era poi così tutto male”. Questo lo posso confermare con un aneddoto. Proprio nel supermercato dove ho comprato il giornale locale della Thuringia che ho citato, ho sentito casualmente alcuni clienti parlare tra loro e una donna diceva: anche i miei figli mi hanno detto che allora (al tempo della Ddr) hanno avuto un’infanzia bella.
Ad un altro livello culturale si trova la riflessione del poeta di sinistra Volker Braun, che ha appena pubblicato un diario di lavoro degli anni dal 1990 al 2008 (Suhrkamp, 2014) e nel quale, in una pagina dell’11 aprile 1990, qualche mese prima della riunificazione, riflette sul passaggio dall’ancora esistente Ddr alla Germania unita: “statt des besseren sozialismus werden wir den schlechteren kapitalismus bekommen” (l’autore scriva anche le parole tedesche tutte in minuscolo): “invece di un socialismo migliore riceveremo un capitalismo peggiore”. Non si può negare che il capitalismo come “società trasparente” (Byung-Chul Han) non ha risolto, come promesso (i “paesaggi fioriti” di Helmut Kohl; e lo dico senza sottovalutare la statura di questo grande politico), tutti i problemi; piuttosto ha messo a nudo le contraddizioni di una società che parla di libertà, ma che spesso esclude chi non si esprime in termini politicamente corretti, che parla del valore del lavoro, ma che per coltivare gli interessi egoistici delle multinazionali riduce l’uomo ad un meccanismo che o funziona o viene estromesso. Basta pensare ad alcune delle sfide del mondo attuale ricordate dall’Evangelii Gaudium (52-75) per comprendere che l’osservazione sul capitalismo peggiore di Volker Braun non è il capriccio di un intellettuale di sinistra: l’economia dell’esclusione, la nuova idolatria del denaro, l’ingiustizia che genera violenza sono più presenti che mai.