Il risultato delle elezioni di midterm americane ha prodotto un esito a favore dei Repubblicani al di sopra delle più rosee aspettative. Era dal 1928 che il Congresso e il Senato non erano a così chiara maggioranza e a guida dei Repubblicani. Ma il risultato più spettacolare si è prodotto nei 36 stati dove si è eletto il governatore. È in queste elezioni che i Democratici sono letteralmente crollati mentre i Repubblicani hanno presentato molte donne giovani e finanche un candidato nero vincente in uno stato del Sud.
A livello federale la vittoria dei Repubblicani avrà un effetto sull’attività legislativa che tendenzialmente cercherà di correggere o cancellare molte delle leggi volute da Obama, dall’immigrazione al budget per la difesa, dalla politica energetica alla fiscalità, dalla salute agli accordi commerciali. Su questi ultimi, mentre tra le fila dei Democratici c’erano alcune esitazioni, la maggioranza dei Repubblicani dovrebbe sostenere senza esitazioni la conclusione rapida dei negoziati del Ttip con l’Ue. Sull’immigrazione dovrebbe esserci una stretta, i tagli alla difesa potrebbero essere eliminati, l’imposizione fiscale alle corporation ridotta e le politiche sanitarie potrebbero essere fermate. Sulla politica estera e di sicurezza il Presidente Obama ha notevoli poteri rispetto al Congresso, ma non potrà fare a meno di assecondare una linea più decisa e più determinata nell’azione estera degli Usa. I dossier sulla Russia, la Cina, l’Iran e il Medio Oriente ne saranno sicuramente influenzati.
La grande novità è nella nuova classe dirigente dei Repubblicani che sta emergendo a livello locale in vista delle elezioni presidenziali del 2016. Il grande rinnovamento, anche anagrafico, dei Repubblicani fa credere che nel 2016 possano davvero riconquistare la Casa Bianca. Nei prossimi mesi si vedrà se confermeranno lo scontato candidato “di famiglia”, Jeb Bush, e se i Democratici gli contrapporranno l’altro candidato “di famiglia”, Hillary Clinton. Vari analisti ipotizzano sin da ora che in casa dei Repubblicani si potrebbero produrre delle sorprese con facce nuove e più moderne.
In ogni caso è chiaro che Obama è stato sonoramente bocciato. Sarà interessante sentire il discorso che dovrebbe pronunciare alla nazione durante la notte (europea) di oggi. È prevedibile che difenderà il suo operato in politica interna ed estera, potrebbe annunciare un rimpasto del suo staff presidenziale, ma fondamentalmente non potrà far altro che concentrare i suoi sforzi nei prossimi due anni a difendersi e a preparare le elezioni presidenziali sostenendo il probabile candidato Hillary Clinton.
Nei confronti dell’Europa c’è da aspettarsi un incremento della pressione politico-diplomatica perché le relazioni transatlantiche, nella difesa e nel commercio, si consolidino. Inoltre, il risultato elettorale rassicura Wall Street che probabilmente vedrà ridotti gli sforzi di Obama nel contenere lo strapotere delle grandi banche e fondi finanziari. Ciò si potrebbe tradurre in un’accelerazione del “tapering” – il programma di riduzione del Quantitative easing – che avrebbe un effetto molto negativo sulla già difficile situazione dell’eurozona.
Nel complesso Obama e la sua Amministrazione passeranno due anni difficili e di debolezza nelle iniziative politiche tanto interne che esterne. Benché possa sembrare paradossale, questa situazione dell’alleato americano potrebbe trasformarsi in una vera opportunità da cogliere da parte dell’Europa, sia come Ue, sia dei singoli stati membri. Con un Congresso americano più razionale e più forte l’Europa ha la possibilità di negoziare seriamente sui dossier economici, monetari, commerciali e di sicurezza.
Che il Ttip si debba concludere è ormai un dato acquisito, come anche Mogherini e Renzi hanno più volte dichiarato. Ma è in quest’ambito che, per esempio l’Italia, potrebbe rispolverare le vecchie amicizie di berlusconiana memoria e cercare di evitare clausole altrimenti svantaggiose per alcuni suoi mercati, come l’agroalimentare, l’energia, la difesa e l’aerospazio. Al “Nazareno interno” si dovrebbe affiancare un “Nazareno transatlantico”, giocato in bilaterale al di la di quel che farà l’Ue.
Augurandosi che il 24 novembre si possa tirare un sospiro di sollievo con la firma degli accordi sul nucleare iraniano – nonostante la rinvigorita lobby israelo-saudita negli Usa, da Teheran i segnali sono ottimistici anche grazie al forte sostegno diplomatico russo – l’Italia potrebbe ricavarsi un ruolo di primo piano per fare da ponte tra l’Europa e l’Iran, nel settore energetico ma anche in quello geopolitico regionale. Anche sul dossier Russia l’Italia avrebbe la possibilità di rilanciare il dialogo di mediazione sfruttando le critiche che molti Repubblicani muovono alla politica di Obama su questo tema.
Certo, sono dossier spinosi e eminentemente politici che devono tener conto della variabile americana trasversale “neocon”. Resta poi l’incognita della politica monetaria che se non sarà ben concordata tra Fed e Bce rischia di far saltare tutti gli equilibri della già traballante Europa.