Essere donne nell’Afghanistan di oggi significa essere polvere. Annientate, distrutte, oltraggiate e asservite, le donne afghane vivono da anni un martirio silenzioso che nemmeno una guerra è riuscita a spezzare; ma continuano a camminare, appesantite dalla prigione di stoffa che portano addosso, perché sanno che il loro momento verrà. Vedono a malapena la luce del sole dietro un burqa che certe donne occidentali difendono più degli stessi talebani, ma continuano a percorrere gli stessi passi, a calpestare la stessa terra, convinte che il tempo della grande sofferenza finirà. Hanno visto passare davanti a sé solo parvenze di cambiamento, più dannose che altro, ma oggi il loro sguardo volge verso un qualcosa di totalmente inaspettato.
Alla fine di settembre è stato eletto il nuovo presidente afghano, Ashraf Ghani, e fin qui niente di strano. Se non fosse per il fatto che la moglie, Rula Ghani, è una donna cristiana, di origini libano-americane e soprattutto non pare avere grande feeling con burqa e niqab.
Insomma, parafrasando un po’ la cronaca politica dei meri fatti, potremmo dire che le caratteristiche per non fare la first lady a Kabul ce le avrebbe davvero tutte. Sessantasei anni, laureata in Francia e madre di due figli che vivono e lavorano negli Usa, alla signora Ghani sono state attribuite delle parole che potrebbero davvero segnare uno spartiacque storico per l’Afghanistan: “Burqa e niqab impediscono alle donne di vedere e di muoversi. Sono come dei paraocchi. Sono pienamente d’accordo con il governo francese che ha vietato alle donne l’utilizzo di burqa e niqab in pubblico”.
Se aggiungiamo che non ha alcuna paura di farsi vedere, a differenza di lady Karzai che l’ha preceduta, e che ha presenziato attivamente a tutta la campagna elettorale del marito, occorre fare qualche riflessione. Andiamo al fondo delle cose e facciamo un passo in avanti.
Cosa significa la presenza della signora Ghani, cristiana e decisa sui diritti delle donne, a Kabul e per di più alla presidenza? Mentre non molto lontano impazza la guerriglia di Isis, il peggior movimento fondamentalista e terrorista degli ultimi cinquant’anni, proprio sulla direttrice del Caucaso si innesta un elemento di meravigliosa distonia geopolitica e culturale. Se solo qualche mese fa ci avessero detto che il presidente afghano è sposato con una cristiana che non accetta il burqa e lavora per la liberazione delle donne, la reazione migliore e più garbata sarebbe stata una risata. Eppure questo oggi accade e dobbiamo noi in Occidente, malgrado la quasi nulla informazione sul fatto, cogliere il segnale della discontinuità con il presente.
Il Paese che maggiormente avevamo considerato sprofondato e senza speranza, in mano al talebanismo, oggi ci spiazza positivamente. Cosa sta succedendo oltre la fumosa coltre dei nostri piccoli problemi locali? I personaggi più in vista della nomenclatura politica e religiosa afghana, che di certo non fanno del liberalismo il loro cavallo di battaglia, hanno già sussurrato ironicamente che forse la Ghani è arrivata a Kabul “per convertire tutto il Paese”. Forse, nella loro chiusa ma coerente mentalità, non sono andati molto lontano da ciò che per qualcuno, al di qua della barricata, è meglio far finta non sia mai accaduto. Magari per non dover guardare in faccia, in futuro, proprio quelle donne il cui massacro porta anche la firma del suo complice silenzio.