La divina liturgia di san Giovanni Crisostomo è già iniziata quando Francesco fa il suo ingresso nella piccola chiesa del Phanar. I canti in greco, i lampadari splendenti, l’oro e l’incenso avvolgono di solennità e splendore i presenti, tutti consapevoli dell’eccezionalità del momento. Nella complessità del rito si alternano le voci dei diaconi e le litanie bizantine: in una regia affascinante prende corpo la teologia orientale, dietro l’iconostasi riccamente decorata la preparazione dei doni del pane e del vino, in una separazione che rende più intenso il mistero eucaristico. Poi la liturgia dei catecumeni, la Parola proclamata tra la foschia dei profumi e l’esaltazione delle voci. 



Una cerimonia intensa, vivida di immagini ed emozioni, accompagna la celebrazione della festa liturgica di Sant’Andrea, che per la prima volta l’attuale successore di Pietro e Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, celebrano insieme. Ultimo atto di un’amicizia rafforzata da gesti e parole disseminati tra Roma e Gerusalemme nell’ultimo anno. 



Nella chiesa patriarcale di San Giorgio, senza cupole per ottemperare alle regole imposte dai conquistatori ottomani, si sente risuonare il latino: il Padre nostro recitato da Francesco. L’uomo e il pontefice che ha deciso di dire basta alle divisioni, di lasciarsi completamente catturare dall’ansia dell’unità. La sua voce irrompe nell’armonica ed elegante cerimonia bizantina per riportare l’urgenza di un compito e di un desiderio. “Voglio assicurare che per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune”.



Una dichiarazione che spezza secoli di indugio, sferzando chi dal Concilio Vaticano II in poi ha inseguito l’unità tra le chiese senza convinzione, procedendo per inerzia sulla strada aperta dai padri conciliari. Siamo oltre la primavera ecumenica inaugurata dall’abbraccio, 50 anni fa, tra Paolo VI e Antenagora, in una stagione in cui la profezia può diventare storia. Lo ha riconosciuto lo stesso Bartolomeo, parlando al Phanar, con Bergoglio si è accesa la speranza, per gli ortodossi, che durante il pontificato sia possibile un “avvicinamento delle due antiche chiese” edificato “sulle solide fondamenta della comune tradizione”. 

Nel suo discorso il Patriarca Bartolomeo, ancora una volta, ha mostrato l’ammirazione e l’amicizia per quel fratello, Pietro, che “si è consacrato nella coscienza dei contemporanei come araldo dell’amore” attraverso la semplicità e l’umiltà. Esattamente quei tratti che hanno portato alle dichiarazioni inedite per un Papa, ma prevedibili per l’ex arcivescovo di Buenos Aires, che hanno spalancato le braccia e il cuore della cattolicità all’ortodossia. 

Il pontefice che nella vita oltreoceano era solito partecipare alle Divine Liturgie delle comunità ortodosse argentine, nella concretezza degli abbracci e degli sguardi, della preghiera e della partecipazione muta al rito greco, ha fatto capire come l’esperienza ecumenica è fatta di persone e incontri, di volti e storie. Non solo un confronto di idee, ma presenza nella vita comunitaria dell’altro. Per arrivare così a poter dire che l’unità è possibile, anzi necessaria.

Anche Bartolomeo, parlando in greco, aveva chiaramente affermato che non è più tempo di indugi, perché mentre i cristiani litigano tra loro, il mondo va avanti e vive l’ansia e la paura del domani. Nessuno può permettersi il lusso dell’agire in autonomia, i persecutori dei cristiani non chiedono a quale chiesa appartengano le vittime. Il martirio del sangue, più volte evocato, da Roma e Bisanzio, spinge su una strada che appare più prossima alla meta. Grazie anche a Francesco e a ciò che ha messo sul piatto nel suo ultimo giorno ad Istanbul. “Siamo pronti — ha dichiarato — a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa”. E’ l’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera. L’unico obiettivo di Francesco, come Vescovo di Roma, e dell’intera chiesa che presiede nella carità. 

L’autorevole sito di informazione “Vaticaninsider” ha fornito una chiave di lettura di quanto avvenuto al Phanar, deducendo che “per l’attuale successore di Pietro il ripristino della piena comunione tra cattolici e ortodossi sarebbe possibile già ora, senza porre ai fratelli ortodossi pre-condizioni di carattere teologico o giurisdizionale”. Il rimando è all’esperienza del primo millennio, quando Oriente e Occidente erano indivisi, e alle mutate condizioni storiche, che potrebbero aiutare a sciogliere i nodi dottrinali che ancora permangono. Gli scettici di professione potranno pensare all’ennesima illusione, ma la sensazione è che nell’amicizia tra questi due grandi uomini di fede, Bartolomeo e Francesco, Andrea e Pietro, sia contenuto il futuro dell’unità tra le Chiese. Non la suggestione di un inchino e di una benedizione che hanno commosso o irritato (a seconda delle posizioni) il mondo, ma la fattualità di un incontro carico di stima e rispetto, preludio di una piena comunione.

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