“Il migliore dei mondi possibile”, così viene incensata quella parte di mondo che viene identificata con il concetto di “Occidente”. Sarà vero? Forse è il caso di chiedersi che civiltà è quella occidentale, sia per quanto concerne la vita dei singoli individui, sia per quanto concerne la politica estera delle èlite al potere.



La civiltà occidentale ha le sue fondamenta nel bagaglio storico, filosofico, tecnico, organizzativo e sociale delle due civiltà classiche per antonomasia, quella greca e quella romana, sulle quali poi si è saldata la cultura legata alla religione cristiana che, nelle sue declinazioni e con i suoi meriti e demeriti, ha segnato la storia occidentale attraverso il Medioevo e l’Umanesimo-Rinascimento, influenzando notevolmente la vita delle popolazioni ivi presenti con conseguente fiorire di attività, studi e applicazioni tecniche che hanno svariato dalla filosofia alla teologia, dalla medicina all’insegnamento, dalla politica all’arte (musica, pittura, scultura) e all’architettura.



Con la Rivoluzione francese ha avuto inizio una lenta ma inesorabile erosione del potere temporale della Chiesa, e nel breve volgere di due secoli si è giunti ai giorni nostri, dove il magistero della stessa risulta confinato sempre più dell’alveo della sola dottrina religiosa, portando la società a un approccio laico scevro da condizionamenti religiosi.

Ma cos’è oggi il mondo occidentale? Come lo declineremmo? Cos’è rimasto della sua capacità di creare cultura a tutti i livelli dell’ingegno umano? Oggi quello che si definisce “mondo occidentale” è perlopiù un mondo dove la cultura e la civiltà non dimorano da tempo; i valori collettivi basilari del vivere civile, quali l’onestà, la lealtà, l’onore, la fedeltà, la sincerità, l’educazione, che caratterizzarono in passato questa parte di mondo, sembrano irrimediabilmente persi sull’altare dei nuovi idoli: potere, ricchezza e status. L’Occidente si caratterizza solo per tre aspetti: l’economicismo sfrenato, l’idolatria della “democrazia” e la pretesa superiorità verso il resto del mondo, considerandosi “il migliore dei mondi possibile”.



I valori collettivi tradizionali, che identificavano un individuo nella sua comunità di appartenenza e che, per osmosi, caratterizzavano la società tutta, sono stati sostituiti dalla perversa logica del consumismo e dal denaro. Beni, cose, oggetti, meglio se tanti, costosi e di lusso, identificano oggi la persona nella comunità di appartenenza, mentre il denaro è la ragione di vita. L’individuo non viene più considerato tale per i valori che rappresenta e che esprime nell’agire quotidiano, bensì in base al suo essere “consumatore”: se non è utile alla filiera consumo-produzione, è un escluso, una nullità.

Si badi bene che ho volutamente inteso scrivere di filiera consumo-produzione, e non come logicamente ci si aspetterebbe produzione-consumo, perché da tempo i maggiori esperti di economia ripetono il mantra che “bisogna stimolare i consumi per far ripartire la produzione”(!), il che, se lo si analizza bene, è un’assurdità: di solito si dovrebbe produrre ciò che serve, pertanto acquistare i prodotti che servono all’individuo, invece la nostra società è così sclerotizzata che chiede alla persone di annullarsi in quanto tali, diventare meri consumatori di ogni qualsivoglia stupidaggine, pur di permettere che la produzione non si fermi.

È il terminale-uomo a disposizione delle cose! Non si lavora per vivere, ma si vive per consumare, non contentandosi mai perché sempre nuovi beni vengono prodotti, sempre nuove cose che danno status sociale vengono prodotte, in un vortice senza fine dove si è creato il meccanismo perfetto dell’infelicità: infatti la tensione delle persone è tutta proiettata verso il futuro senza mai assaporare il presente, senza mai potersi sedere per godersi le cose o i beni acquistati e faticosamente sudati, perché nuove necessità incombono, a un ritmo sempre più frenetico. Un mondo che si caratterizza come un enorme supermarket dove la vita scorre tra produrre e spendere, e chi rimane indietro è perduto, un reietto, un emarginato. Le persone non sono più tali in base ai valori che guidano le loro azioni, bensì in base alla loro capacità di essere dei lavandini, o meglio, dei water, capaci di digerire continuamente beni e cose, cose e beni.

Il concetto di “democrazia” è diventato il totem ideologico delle classi politiche occidentali contemporanee, tanto da muovere pretestuosamente guerre in qualsivoglia parte del mondo con finalità tutt’altro che onorevoli, ma mascherandole con la volontà di esportare la “democrazia”. Termine questo in gran lunga svilito e stuprato nella stragrande maggioranza dei paesi occidentali in quanto da tempo questi Stati si sono adeguati a essere oligarchie, e le sfide elettorali null’altro sono se non pseudo-competizioni tra lobbies e gruppi di potere che delle volontà dei cittadini si fanno beffe una volta ottenuto l’agognato voto e la conseguente fetta di potere.

La democrazia è pertanto solo un meccanismo per la gestione del potere politico e sociale, non è, e non potrà mai essere, un valore a sé stante, né identificabile con il concetto di “bene”, da contrapporre al “male” incarnato da Stati che democratici non sono, pena ulteriori perdite di vite umane innocenti sulla coscienza.

Da ultimo, l’ineguagliabile superbia dell’Occidente sul resto del mondo in virtù della superiorità economica, finanziaria, tecnologica, produttiva e militare, tale per cui le élite politiche di questi paesi si arrogano il diritto di ingerenza negli affari di qualsivoglia Stato del mondo, senza dover chiedere conto a nessuno in quanto le maggiori Organizzazioni internazionali sono ampiamente sotto il loro controllo (Onu, Nato, Fmi).

In un mondo siffatto, con questi valori fondativi, non stupisce poi il rovescio della medaglia, fatto di una moltitudine di problematiche che interessano i cittadini nella sfera della salute mentale e comportamentale, tali da divenire vere e proprie emergenze sociali. Depressione, nevrosi, anomia, tossicodipendenza, alcolismo, ludopatia, sono il bubbone marcescente e putrescente in seno al mondo civilizzato occidentale, e vi rientrano tutti coloro che sono impossibilitati a trasformarsi in individui-lavandini o individui-water per lo scarico continuo dei beni di consumo, oppure perché consci di non trovare l’adeguata collocazione sociale in quello che viene venduto come “il migliore dei mondi possibili”.

Un mondo dove l’avere troppo annoia, e lo si vede per i giovani e i ricchi, sempre più dediti a trasgressioni e sballi estremi; mentre gli anziani, sempre più soli, tirano avanti tra giochi d’azzardo e sconce trasmissioni d’intrattenimento televisivo, dove si creano artificiosamente quei sentimenti che nella realtà non riescono più a vivere.

Hanno un bel da fare i vari Pontefici che da decenni a questa parte cercano di rimettere l’attenzione dei loro fedeli sui veri valori dell’individuo, oramai si vive in un mondo che ha creato una società dell’avere, del prodotto, dello status, dell’effimero, tesa sempre verso il futuro, senza mai cogliere e godere la vita nel presente, condannando la popolazione alla certezza dell’infelicità, dove l’unico essere umano che interessa è “il consumatore”.

Ma forse c’è un’ultima possibilità, e come le medicine più efficaci, che sanno essere amare e persino dolorose nell’immediato per poi dispiegare i loro effetti benefici nel futuro, il rimedio potrebbe essere una guerra. Sì, una guerra che interessi direttamente sul proprio territorio il mondo occidentale. Non parlo di atti di terrorismo, guerriglia o cose simili, bensì una guerra vecchio stile, con coinvolgimento diretto e massiccio della popolazione tutta.

Forse troppe generazioni private di questo dramma collettivo non sono un bene per la società, perché ci si impigrisce, si diventa arroganti, avari, egoisti, amorali, si perdono i veri valori dell’esistenza, che per prima cosa sono proprio il senso della vita e il vivere, sostituiti con valori fasulli, artificiosi che hanno portato a incensare comportamenti meschini, villani e arroganti a tutti i livelli del vivere civile, sin nelle altre sfere del potere politico ed economico.

La guerra porta distruzioni materiali e drammi umani, perdere le persone care, registrare per sempre nella propria mente gli orrori della violenza, convivere quotidianamente con la miseria e la morte sono cose che non si vogliono e non si devono augurare a nessuno. Ma come la lava di un vulcano quando passa distrugge tutto quello che incontra per poi, una volta ferma e raffreddata, torna a essere terra fertile per nuova vita, così anche la guerra ha effetti benefici, infatti riduce la vita delle persone all’essenziale, la libera dai mille orpelli mentali e materiali nei quali è stata rinchiusa, privandola della sua linfa vitale, per restituirle la sua vera essenza, che è il godimento quotidiano della vita stessa. Inoltre, nella guerra ci si sente tutti parte dell’immensa tragedia collettiva, ci si stringe assieme nelle necessità, si fa comunità, si rinuncia all’egoismo viscerale della società dell’accaparramento continuo, per essere parte di un insieme con lo stesso vissuto, le stesse esigenze, i medesimi sogni di vita e di pace.

Sì, perché un altro senso della guerra è quello di giungere un giorno, che si spera sempre arrivi il prima possibile, alla pace. Una guerra potrà salvare e redimere l’uomo e la società occidentale?

 

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