Di tutto quanto successo nella storica giornata durante la quale si è abbattuto il muro delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Usa, alcune conclusioni si possono trarre fin da ora. In primo luogo c’è da considerare che il cammino intrapreso tra i due paesi, sotto la regia di papa Francesco, è di quelli senza ritorno, dove ormai la breccia è stata scolpita e non esiste più alcuna possibilità di ripristino della situazione precedente. Ricordiamo, però, ed è un obbligo farlo, che le recenti elezioni negli Usa hanno consacrato la vittoria dei Repubblicani, che oltretutto hanno il controllo sia della Camera che del Senato. Il che creerà, viste anche le prime reazioni alla notizia, delle misure anche di grande portata nei confronti di Barack Obama, che però forse grazie anche a questa congiuntura a lui sfavorevole, ha puntato su di una decisione di portata storica talmente importante da sconvolgere e in pratica “far saltare” il banco. Cosa che alla fine sicuramente gli porterà una favorevole onda positiva a livello internazionale, con notevoli effetti benefici anche negli Usa.



È opportuno ricordare che la conclusione dell’embargo su Cuba e la nascita di relazioni diplomatiche convenzionali risolvono uno dei più datati conflitti del secolo scorso, che non aveva più ragione di esistere al giorno d’oggi. Era opportuno metterci la parola fine e non solo da parte americana: la Rivoluzione cubana, pur nella sua importanza che risiede nell’iniziale partecipazione di varie componenti al suo successo, inclusa quella cristiana che inizialmente l’appoggiò, deve la sua sopravvivenza, pur nell’involuzione succedutasi all’iniziale speranza, non solo al vitale appoggio dell’ex blocco comunista, ma anche alla decisione di un embargo che la favorì politicamente, permettendogli di arrivare fino ai giorni nostri. E questo Raul Castro, fratello di Fidel, lo sa benissimo. La riappacificazione attuale permette un cambio della guardia più facilmente manovrabile dall’attuale potere (ormai generazionalmente arrivato quasi all’epilogo) e sicuramente meno traumatico.



Anche questo muro è caduto: di portata storica sicuramente più contenuta di quello di Berlino, ma che promette essere l’inizio della decadenza di altri scheletri del passato, a cominciare da quello della Corea del Nord per finire a quello dell’ormai improcrastinabile riconoscimento dello Stato di Palestina e una definitiva soluzione del problema cinese.

Tutti hanno riconosciuto alla Chiesa, oltre che al Canada, il merito del dialogo tra Usa e Cuba che pare sia iniziato proprio tra le mura vaticane: ed è un successo diplomatico di papa Francesco che si somma a quello internazionale già ottenuto evitando lo scoppio di un conflitto di proporzioni inimmaginabili in Siria. Ora sul fronte internazionale lo attendono situazioni molto delicate soprattutto dal punto di vista diplomatico: quella cinese, già citata, ma soprattutto quella del suo Paese, l’Argentina.



Il riconoscimento della Chiesa di Roma nella nazione orientale sembra un traguardo non molto distante, anche se il suo raggiungimento ha dovuto significare l’allontanamento del Dalai Lama, fatto che ha provocato una serie di critiche visti i recenti successi di Bergoglio nello stabilire profondi rapporti di fratellanza con le altre religioni. Più difficile appare la soluzione del puzzle argentino: le recenti decisioni di tribunali americani di togliere gran parte del segreto diplomatico nei processi che coinvolgono le oltre 150 società di comodo gestite da Lazaro Baez e che sono parte del contenzioso aperto a New York per la questione dei bond argentini, rischiano di portare alla luce quello che ormai tutti sanno. Che l’ex impiegato di banca di Santa Cruz deve il suo colossale arricchimento al fatto di essere il prestanome della famiglia Kirchner a cui sono collegate tutte le entità finanziarie in causa. 

La contemporanea lotta dell’attuale Presidente argentina contro i giudici che stanno indagando su di un sistema di corruzione che imperversa dal 2001 in tutto il Paese (prima si limitava al feudo kirchnerista della Provincia di Santa Cruz), le continue esternazioni di papa Francesco contro la corruzione come cancro della società, replicate da una pesante dichiarazione del Sinodo argentino, che ha preso le distanze dal Governo attuale, ormai sempre più in difficoltà nel coprire gli scandali che quotidianamente coinvolgono la sua gestione, rendono delicatissima la missione e il ruolo dell’attuale Pontefice. Che dovrà operarsi per una transazione che sia pacifica in vista delle elezioni Presidenziali del 2015, ma anche intransigente nell’applicazione di quei principi che sono imprescindibili se si vuole costruire una società che possa portarci verso quel mondo con una ripartizione della ricchezza più giusta dell’attuale.

Proprio l’esperienza e la collaborazione nella risoluzione della questione delle relazioni tra Usa e Cuba tra Francesco e Obama hanno portato alla ribalta due personaggi sui quali scommette la speranza del mondo intero per un futuro migliore.

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