Spesso quando qualcuno viene a vedere le nostre scuole in Kenya, resta stupito della gratitudine dei genitori per la possibilità dei figli di poter andare a scuola, ancor più che di poter ricevere altri aiuti materiali. Un genitore venendo per la prima volta si è tolto le scarpe ed ha baciato il pavimento, grato che sua figlia potesse frequentare una buona scuola. Che un bambino possa andare a scuola qui non è scontato, come in Europa. 



Per evitare situazioni di dipendenza assistenzialistica, chiediamo ai genitori di contribuire al pagamento della retta, con una cifra simbolica per i più poveri, oppure procurando legna per la mensa, cucinando, trasportando taniche d’acqua, ecc. La scuola è per noi un grande ammortizzatore sociale perché strappa i bambini alla strada ed allo sfruttamento. Quando i bambini tornano nella baraccopoli “rieducano” i loro genitori documentadogli come ci sia un modo diverso di vivere e di concepirsi: non è vero che la legge del più forte, che vige nello slum, è quella più rispettosa della persona. 



Un giorno stavamo pianificando i corsi di recupero: vedo il nome di un bambino bravo e chiedo il perché. L’educatrice mi risponde che il bambino al corso aiuterà gli altri bambini e soprattutto, restando a casa, perché la scuola è chiusa per le vacanze, non avrebbe cibo per giorni. Durante gli scontri post elettorali la nostra scuola, nello slum di Kibera, non è stata mai attaccata: i genitori ci venivamo a informare se c’era qualche pericolo imminente e mandavamo subito i bambini a casa. Un giorno una persona, vedendo come i nostri studenti pur essendo di varie tribù, siano capaci di convivere pacificamente, ci ha chiesto se facciamo dei corsi sui diritti umani ed abbiamo risposto che non abbiamo mai fatto, né promosso, corsi di questo genere, ma semplicemente invitiamo i nostri studenti a vivere un’esperienza umana autentica partendo dai loro desideri.



E’ sempre commovente quando, dopo aver finito gli studi, i nostri “bambini” vengono a visitarci ed a raccontarci che lavoro hanno trovato e come, essendosi sentiti “come in famiglia” con noi, vogliano aiutare altri bambini bisognosi. Alcuni dei bambini aiutati sono oggi nostri insegnanti o educatori.

(Antonio Masuri)