“E’ un primo passo positivo ma non basta per sciogliere i veri nodi”. Paolo Branca, docente di islamistica nell’Università Cattolica di Milano, commenta così l’appello sui cristiani perseguitati dall’Isis diffuso dall’Università Al-Azhar del Cairo, la massima autorità dell’islam sunnita a livello mondiale. In una dichiarazione al termine di una conferenza, l’università islamica ha fatto sapere: “Condanniamo l’esilio forzato dei cristiani e di altri gruppi religiosi o etnici. Invitiamo i cristiani a rimanere radicati nelle loro terre natali e a sopportare questa ondata di terrorismo per la quale noi tutti stiamo soffrendo”. A chiedere un’esplicita condanna dell’Isis da parte delle autorità islamiche era stato il Papa durante il suo viaggio in Turchia.



Che cosa ne pensa della dichiarazione dell’Università di Al-Azhar?

Penso che sia una cosa positiva e importante per il prestigio dell’ente che l’ha emanata. E’ però ancora solo un primo passo, perché le condanne teoriche sono utili e importanti, ma incidono solo relativamente sulla realtà. Spero che la riflessione si allarghi e approfondisca, perché ci sono dei nodi da sciogliere che un documento di questo genere non può neanche affrontare.



Quali sono questi nodi?

In Egitto per esempio ai cristiani è impedito di insegnare la lingua araba nelle scuole di qualsiasi ordine e grado, perché l’arabo è la lingua del Corano, dell’islam e del Profeta. Pur non essendoci nessuna legge che lo stabilisca, è una prassi seguita in tutto il Paese. I musulmani si devono inoltre chiedere perché, citando degli slogan a base religiosa, sia così facile arrivare a eccessi come quelli di Al-Qaeda e adesso dello Stato islamico.

Secondo lei qual è il vero motivo?

Evidentemente c’è un problema di rapporto tra la dimensione religiosa e quella politica che non è stato ancora definito. Ciò che occorre è, se non una separazione tra sfera politica e religiosa, quantomeno una distinzione di livelli che farebbe molto bene sia alla religione sia alla politica.



Andrebbe condannato solo lo Stato islamico o qualsiasi tentativo di tradurre il Corano in un programma politico?

Già era successo con le primavere arabe quando si parlava di Stato “civile”, e non “laico”. Il concetto occidentale di laicità era interpretato in modo “a-religioso” o addirittura anti-religioso. Lo Stato civile significava piuttosto non religioso e non militare. Lo stesso termine di Califfato utilizzato dallo Stato islamico risale a secoli fa quando più che a una teocrazia ci si poteva trovare di fronte a un cesaropapismo.

 

L’appello di Al-Azhar è una risposta all’invito fatto da Papa Francesco che aveva chiesto alle autorità islamiche di condannare esplicitamente l’Isis?

E’ facile che ci sia stato questo input. Già c’era stata la lettera dei 138 sapienti musulmani che era stata pubblicata dopo il discorso di Ratisbona di Papa Benedetto XVI, e che parlava di ebraismo, cristianesimo e islam come di tre grandi religioni basate sui principi dell’amore di Dio e del prossimo. Poteva quindi essere valorizzata da tutti per spostare l’attenzione da polemiche di tipo ideologico al fulcro dell’esperienza religiosa. Eppure il suo riscontro mediatico fu pressoché nullo. Mi chiedo ancora una volta a quanto servano queste dichiarazioni se non sono poi valorizzate come meriterebbero.

 

Che cosa ne pensa di quanti criticano il Papa affermando che non fa abbastanza per i cristiani perseguitati?

Sono veramente stupito, perché quando il Papa ha detto che “è lecito fermare l’aggressore” mi sembra che abbia espresso l’essenziale. Non credo che spetti al Santo Padre dire con quali mezzi farlo né tantomeno indire un attacco militare. In Iraq del resto di azioni militari ne sono state fatte già da molti anni, con risultati assai deludenti. Una via alternativa all’uso della forza, se è possibile, è sempre auspicabile. E a quanti dicono che il Papa non sarebbe abbastanza filostatunitense, mi limito a ricordare che Bergoglio viene dall’Argentina.

 

(Pietro Vernizzi)