Stamattina sono stata a Messa. Ricomincio a prendere confidenza con Juba. Mentre ero in giro, prima a Torit, poi a Isohe, poi di nuovo a Torit, il pensiero di Juba era pensiero di casa. Appena arrivata, martedì scorso, dopo un viaggio tranquillo dove ci hanno accompagnato prima villaggi e montagne e poi l’asfalto bollente della Nimule-Juba, mi muovevo attenta ad ogni rumore. Ora i rumori sono diventati di nuovo quasi famigliari. Il caldo della stagione secca rende le giornate di fuoco. E i movimenti lenti. Stamattina sono andata a Messa perché avevo bisogno di un momento. Perché ogni giorno lavoriamo, parliamo, discutiamo e ridiamo. Come se nulla fosse. O meglio, sapendo di questa incertezza in cui si trova il Sud Sudan. non facciamo finta di niente, ma non abbiamo nulla da dire, se non raccontare quello che si sente raccontare su spari e rifugiati. Ma senza prospettive. Una grande domanda. Avevo bisogno di un momento. La gioia di essere qui, quella dello scorso anno, non è sparita, non se n’è andata. È solo esigente di motivazioni. quella gioia si è fatta più seria. La fatica di fare non sapendo come andrà’ è ripagata: la Paola parte per il nord. Un nuovo progetto, nei Lakes State, nel nord del sud (Sudan). Le chiedo: che cosa ti preoccupa. Mi immagino risponda l’insicurezza, i dinka e i nuer che si sparano, andare in un posto nuovo, insomma, paura per se stessa (io ci penso in questi giorni, alla paura che avrei e al coraggio che ha lei). Tra le sue risposte: ho paura delle aspettative delle persone che sono là. Semplice. Già la stanno chiamando, vogliono che lei vada là per l’inizio dei corsi della scuola (una scuola professionale per muratori e falegnami e agricoltori). sono ragazzini, in mezzo al nulla, che aspettano una persona incontrata una sola volta. C’è spazio da riempire. Intanto questa una buona ragione per andare e poi volere che non finisca, che non finisca la possibilità di pensare ad un sud Sudan felice e bello come le montagne