Cinque anni dopo la tragedia nucleare di Chernobyl, nel 1991 l’indipendenza era per l’Ucraina un modo per seppellire il socialismo sovietico e i suoi drammi. Primo atto fu infatti lo scioglimento e il divieto di costituzione del partito comunista ucraino che, invece, si ricostituì nell’ottobre 1993 e in alleanza con il ‘nuovo’ partito socialista ucraino portò all’elezione di Oleksander Moroz a presidente del parlamento ucraino e del corrotto politico filo sovietico Leonid Kuchma a presidente della repubblica ucraina (1994-2005). Le divisioni e le faide interne ai vari partiti ex-comunisti hanno caratterizzato il clima politico ucraino principalmente attorno alla spartizione delle industrie e delle banche che si dovevano privatizzare. Già alla fine del 2002, Oleksander Moroz, Viktor Yushchenko (Our Ukraine), Petro Symonenko (partito comunista ucraino) e Yulia Tymoshenko (Yulia Tymoshenko bloc) firmarono un comunicato congiunto che dichiarava “l’inizio dello stato di rivoluzione” nel paese.
Dal novembre 2002 al 2004 il governo ucraino fu guidato da Viktor Yanucovich che si oppose fortemente alle idee ‘rivoluzionarie’ di Yulia Tymoshenko. Tuttavia, tra il 2004 e il 2005 si svolse la ben programmata e finanziata “rivoluzione arancione”, dalla quale si dissociò il partito comunista ucraino. Nel 2005, la rivista americana Forbes incluse Yulia Tymoshenko tra le 100 donne più influenti del pianeta. Infatti, dal 2007 al 2010 la Tymoshenko è stata eletta a capo del governo ucraino. In questo periodo la Tymoshenko fu sospettata di corruzione per “l’affare del gas con la russa Gazprom”. Viktor Yanucovich, che dal 2007 era stato nominato presidente del consiglio del CIS (Commonwealth of Independent States), si è candidato alle elezioni presidenziali del 2010 che ha vinto contro Yulia Tymoshenko. Quest’ultima ha cercato di dimostrare che il voto era stato truccato, presentando vari ricorsi poi ritirati. All’inaugurazione del mandato presidenziale di Yanucovich, mentre la Tymoshenko si rifiutò di partecipare, accorsero esponenti politici e religiosi importanti, tra i quali Catherine Ashton, alto commissario per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, e il patriarca Kirill della chiesa ortodossa di Mosca.
Dall’ottobre 2011, Yulia Tymoshenko è detenuta in esecuzione di una condanna a 7 anni per i fatti di cui era sospettata in relazione al gas della Gazprom. Nascosti dietro le spalle di una classe politica da circo e corrotta, agiscono gli ‘oligarchi’. Come anche in Russia, dopo la fine dell’era sovietica, un certo numero di ‘oligarchi’, uomini d’affari mafiosi e collegati alle varie fazioni politiche, con il sostegno dell’Occidente si sono appropriati di terreni, banche, immobili e industrie. I veri padroni dell’Ucraina sono gli oligarchi che ‘scelgono’ i politici da eleggere. Banche d’affari occidentali, industrie, investitori privati, e numerosi politici di rilievo non hanno avuto difficoltà nel farsi vedere al fianco degli oligarchi e di siglare lucrosi affari con i politici ucraini.
E’ questa la storica faglia nel cuore dell’Ucraina che l’Occidente ha cercato di sfruttare per annullare l’influenza russa dal 1990 in poi, compreso il tentativo di attirare l’Ucraina nella Nato. I leader della ‘rivoluzione arancione’ sono stati incoraggiati a inviare truppe ucraine in Iraq e in Afghanistan. L’espansione verso est della Nato è stata però bloccata dalla guerra georgiana del 2008 e dalla successiva elezione di Yanukovich sulla base di un programma di non allineamento. Ma ogni dubbio che lo sforzo dell’Ue di corteggiare l’Ucraina fosse strettamente connesso con la strategia militare occidentale è stato dissipato dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, quando ha dichiarato che il patto poi abortito con l’Ucraina avrebbe rappresentato “spinta importante per la sicurezza euro-atlantica”.
Nella battaglia che infuria in Ucraina dal 1991, con i picchi della ‘rivoluzione arancione’ del 2004-2005, e con la tragedia attuale delle piazze di Kiev, il capitolo energetico è cruciale. Basti pensare alle manovre del presidente Yanukovich per smarcarsi dalla morsa russa riformando il settore e tentando di diversificare le fonti di approvvigionamento. Ne è un esempio l’interessamento di Kiev verso l’interconnettore Agri, infrastruttura che, tagliando il Mar Nero, potrebbe aprire un nuovo corridoio tra il Caucaso e i mercati europei. Ma più importanti sono due grandi contratti firmati dal presidente Yanukovich con la anglo-olandese Shell e con l’americana Chevron, per un valore di circa 10 miliardi di dollari ciascuno, per lo sfruttamento congiunto delle riserve di gas di sciste (shale gas) sul territorio ucraino. Nonostante le proteste e la guerriglia urbana che infuria, il governo ucraino ha confermato che i lavori di esplorazione prenderanno luogo entro maggio 2014 nelle regioni occidentali attorno all’importante città di Lviv (Oleska field per la Chevron).
Mentre la Shell ha già cominciato le perforazioni nelle regioni orientali dell’Ucraina, contro lo sfruttamento dell’Oleska field si sono schierati organizzazioni civiche e consigli comunali e provinciali dominati dai partiti di estrema destra, e da ultimo anche il presidente russo Putin ha sollevato dubbi sull’impatto ambientale cross-border. Come si può intuire la stabilità dell’Ucraina, il suo futuro, e l’eventuale sua pacificazione, ha molto a che fare con il ‘gas’ russo, che passa quasi esclusivamente in Ucraina verso l’Europa. Inoltre, i progetti di estrazione del gas di sciste ucraino porterebbero all’autosufficienza energetica del paese che entro il 2020 potrebbe addirittura diventare esportatore di gas verso l’Europa. La Francia, la Spagna e la Germania sono molto interessate alle operazioni estrattive della Shell e della Chevron perché vorrebbero replicarle anche sui propri territori, ‘addolcendo’ la posizione ideologicamente contraria dei mandarini della Commissione europea.
Si capisce meglio la rilevanza dell’Ucraina per la Russia?
Fonte Limes