Comprensibilmente, in Italia è il nuovo governo presieduto da Matteo Renzi a fare oggi soprattutto notizia, salvo qualche inevitabile richiamo alla drammatica crisi in Ucraina. Frattanto però non è che la tragedia della guerra in Siria abbia avuto termine solo perché su di essa si sono spenti i riflettori del grande circo delle tv a diffusione planetaria. A Ginevra la seconda sessione dei negoziati di pace sia è conclusa il 15 febbraio scorso senza un nulla di fatto, mentre una terza sessione non sembra essere realmente in programma. Avendone già parlato in precedenza non torniamo qui a dire perché tali negoziati non potevano che fallire, e perché erano stati impostati in modo che fallissero.
In quella rigogliosa ma incontrollabile giungla di notizie che è ormai divenuta Internet, circolano informazioni secondo cui sarebbe in corso un riarmo delle milizie anti-governative siriane. Si parla di possibili forniture agli insorti di armi antiaeree a spalla nonché di piste che si starebbero asfaltando nel deserto giordano per poter far loro pervenire anche dei mezzi corazzati.
È difficile dire quanto ci sia di vero e quanto di fantasioso in queste notizie (tra l’altro i mezzi corazzati non hanno alcun bisogno di piste asfaltate per muoversi nel deserto, purché ovviamente siano condotti da piloti esperti e si muovano agli ordini di ufficiali altrettanto esperti; e altrimenti si incagliano e vanno ben presto fuori uso comunque). Quale che ne sia il fondamento, queste voci valgono in ogni caso a far capire quanto la gente in Siria abbia oggi sempre più la sensazione che chi ha voluto questa guerra la voglia far continuare ad ogni costo. E ciò malgrado sia evidente che si tratta di un conflitto senza sbocco sul piano militare; e che quindi nella misura in cui continua non serve ad altro se non a sfinire ulteriormente un popolo già sfinito.
Osserviamo per inciso che – al di là di ogni altra differenza – a crisi scoppiata in Ucraina corre il rischio di avere simili sviluppi. E questo per il modo altrettanto astratto e schematico con cui l’Occidente la sta affrontando, con una slabbrata Unione Europea in primo piano che va a sfidare la Russia facendosi forte del benevolo ma vago appoggio degli Stati Uniti del presidente Obama. Non ci si rende così conto che l’Ucraina non è una ma sono due; e che quella sua grossa fetta orientale che è ormai russa non accetterebbe un’Ucraina esclusivamente “europea”. Sarebbe pronta in tal caso a una guerra civile con prospettive analoghe a quelle della Siria, mentre d’altra parte l’Ue non è di certo in grado di sostituirsi alla Russia come grande fornitore all’Ucraina di gas naturale pagato poco e male.
Tornando alla Siria, malgrado tutte le nostre preoccupazioni immediate occorre stare all’erta per evitare che da qualche parte si creda di poter mettere a segno contro il regime di Assad chissà quale colpo decisivo sul piano militare, il cui unico esito sarebbero soltanto ulteriori spargimenti di sangue e di lacrime. In cerca di impossibili vittorie e di possibili guadagni, attorno alla Siria gira oggi purtroppo tutto un mondo oscuro di servizi segreti, di avventurieri, di mercanti di armi. Alle grandi potenze che stanno dietro le varie fazioni, e ai loro alleati nel mondo arabo, basta perciò relativamente poco denaro per riattizzare gli scontri. Ai negoziati di Ginevra solo la Santa Sede aveva avanzato delle proposte realisticamente orientate alla pace, ma senza trovare ascolto.
Già al tempo del governo Letta, con il ministro degli esteri Emma Bonino l’Italia aveva assunto nella circostanza una posizione più coraggiosa del solito, non esitando a prendere le distanze dalla dissennata pretesa di Obama di risolvere la questione bombardando la Siria, poi per buona sorte abbandonata anche (e forse soprattutto) a seguito dell’appello di papa Francesco alla preghiera contro la guerra e all’eco che esso ebbe in tutto il mondo. Sarà tempestivamente capace il nuovo governo Renzi di impegnare l’Italia a favore di una ragionevole soluzione della crisi siriana? Ieri alla Camera, non a caso avendo citato Giorgio La Pira, suo predecessore nella carica di sindaco di Firenze, il nuovo premier ha dato tra l’altro una notizia sorprendente e significativa: la sua prima visita di Stato all’estero sarà non a Washington e nemmeno a Bruxelles bensì a Tunisi. È una scelta senza precedenti, che evidentemente vuol significare una lodevole attenzione del suo governo per il Mediterraneo, per il Levante: un’area dove il nostro Paese incontra un ascolto e ha un peso che sono maggiori di quanto di solito da noi si pensi. In tale orizzonte molto bene si collocherebbe una rinnovata iniziativa italiana a favore della pace in Siria.