L’incendio occorso al deposito di archivi della multinazionale Iron Mountain sito nel quartiere Barracas di Buenos Aires nel quale hanno perso la vita fino ad ora ben 9 persone tra pompieri della PFA (Policia Federal Argentina) volontari e specialisti in soccorso (il bilancio non è ancora definitivo a causa di altre sei persone, sempre soccorritori, attualmente feriti in modo grave) è vissuto come una tragedia nazionale (sono stati decretati due giorni di lutto) per il modo in cui si è sviluppato il fatto.



Verso le nove di mattina martedì, è scoppiato un incendio in una costruzione che, adibita come ripetiamo al deposito di documenti nella maggior parte cartacei ed in molti casi “sensibili”, presuppone l’esistenza, oltremodo dichiarata dall’azienda, di una squadra interna dedicata all’ antincendio, cosa che pare non abbia funzionato a dovere. I lavoratori ed impiegati dell’impresa hanno potuto mettersi in salvo, ma all’arrivo delle prime squadre di soccorso e antincendio si è presentata una situazione abbastanza normale, anche se ovviamente pericolosa, cosa che ha fatto scattare le ovvie misure di sicurezza, subito messe in atto. Quello che non si spiega è come d’un tratto una parete dell’edificio sia crollata direttamente sulle squadre di soccorso provocando la tragedia: ora è in corso una indagine per stabilirne le cause, ma il modo in cui anche le altre pareti siano letteralmente cadute (questa volta senza vittime) rimane avvolto nel mistero perchè non preceduto da una esplosione ma trattandosi di un mero cedimento strutturale abbastanza inspiegabile.



Barracas è un quartiere della zona sud della estesissima capitale argentina, una città dove purtroppo i crolli non sono tanto infrequenti: lo scorso anno in una delle avenidas principali del centro di Buenos Aires, Callao, a un passante è crollato addosso un balcone di un palazzo signorile, provocandone la morte. Ma quotidianamente avvengono rotture di pezzi di facciata di edifici che per fortuna si risolvono senza decessi o feriti. La scorsa settimana nella stessa avenida un passante Italiano è stato colpito da un pezzo di un telaio di una finestra improvvisamente ceduto. Se questo avviene in una delle strade più chic del centro, basta fare un giro nei quartieri a sud o a ovest della città per vedere situazioni più simili ad una guerra che alla vita di tutti i giorni.



Attraversare per esempio il ponte degli Inglesi che divide il quartiere tanguero di Pompeya da Lanus, divisi da un fiumiciattolo inquinato da decenni che si chiama giustamente Riachuelo, è un’esperienza desolante. Vie composte da edifici o case abbandonate pericolanti si susseguono a un ritmo quasi metafisico, testimonianze di un passato che non c’è più. Quando poi non si tratta di fabbriche, come le concerie di Valentin Alsina cadute in disuso negli anni novanta, spesso fondate da Italiani di un piccolo paese dell’avellinese, Solofra, uno dei più famosi al modo nell’arte di produrre pelli.

In questo quartiere si cammina in strade dove persiste l’odore del cromo, un veleno importantissimo nel processo di conceria, su marciapiedi spesso distrutti anche loro. Ma anche lo storico e centrale quartiere di san Telmo, meta del turismo, è pieno di edifici dichiarati pericolanti in cui spesso alloggiano decine di senza tetto, per ripararsi dalle intemperie, perchè quando il tempo lo permette dormono sui marciapiedi come spesso succede anche in pieno centro, nei quartieri più eleganti.

I controlli non esistono a causa della mancanza di fondi necessari per attuarli o per iniziare opere di restauro, demolizione o rifacimento di stabili spesso di grande valore storico: è l’eterna diatriba tra il potere Governativo centrale e quello delle Regioni o i Municipi che compongono questo immenso Paese. Che non è affatto la succursale del Paradiso che il Governo illustra quotidianamente:  è lecito augurarsi che il sacrificio di nove eroici soccorritori serva a far pensare di come sia importante prevenire tragedie come quella odierna, assolutamente non giustificabili con l’attuale menefreghismo delle istituzioni.