Ucraina ancora senza pace. La Russia ha condannato l’“illegalità” nell’Est dell’ex Paese satellite, criticando i militanti di estrema destra di “essere conniventi” con le nuove autorità di Kiev. In una dichiarazione, il ministro degli Esteri russo ha dichiarato che uomini mascherati la scorsa settimana hanno sparato su manifestanti pacifici. Ha inoltre accusato l’Ucraina di non rispettare la libertà di stampa per il fatto di avere arrestato sette giornalisti russi. L’Ucraina e l’Occidente hanno risposto alle accuse russe definendole una sfacciata propaganda per giustificare il dispiegamento di truppe in Crimea. Ilsussidiario.net ha intervistato il professore ucraino Mykhailo Gonchar.



Come valuta l’attuale situazione nel suo Paese e quali sono a suo parere i possibili sviluppi? E’ realistica l’ipotesi di un conflitto armato tra Ucraina e Russia?

Da una parte, il Paese si sta gradualmente stabilizzando, dopo la rimozione di Yanukovych e del suo governo, un regime che può essere descritto in termini di cleptocrazia, corruzione e criminalità. La società ucraina si sta preparando per le elezioni presidenziali del 25 maggio. Dall’altra, timori di una guerra sono arrivati dopo l’intervento russo in Crimea e, sfortunatamente, non si può escludere del tutto uno scenario di guerra, dato che la Russia di Putin non sembra propensa a seguire le vie diplomatiche. Un anno fa, in una conferenza a Varsavia, definii la politica di Putin verso l’Ucraina come simile all’Anschluss, perpetrato nel 1938 da Hitler ai danni dell’Austria.



Per quanto riguarda la Crimea, la maggioranza della popolazione è di etnia russa e sembrerebbe a favore dell’indipendenza dall’Ucraina. E’ realmente questa la situazione? E’ possibile una soluzione che rispetti tutti i diritti delle popolazioni coinvolte e al contempo l’integrità territoriale dell’Ucraina?

La situazione in Crimea non può essere considerata solo sotto il profilo dei rapporti tra ucraini e russi. La Crimea è l’unica regione dell’Ucraina dove, in effetti, i russi costituiscono la maggioranza della popolazione, la cui composizione è data dal 58% di russi, il 24% di ucraini, il 12 % di tartari della Crimea. E’ comunque da tener presente che la penisola è la terra d’origine dei tartari di Crimea che, nel censimento del 1897, erano il 35,6% contro il 33,1% dei russi. L’attuale composizione etnica è la conseguenza della deportazione dei tartari voluta da Stalin nel 1944 e la loro sostituzione con popolazione russa dopo la fine della guerra. Questi numeri sono importanti per capire che non si può trattare la questione della Crimea solo alla luce degli interessi della maggioranza russa. I russi hanno il loro Stato, la Federazione Russa, i tartari della Crimea non ne hanno nessuno a parte, appunto, la Crimea, dove hanno potuto far ritorno solo con l’indipendenza dell’Ucraina, dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. All’interno dell’Ucraina la Crimea ha ottenuto uno status autonomo, ma non come “autonomia russa”, e i tartari di Crimea non si sentono parte della Russia, che nel diciottesimo secolo ha distrutto il loro Stato, esistente da quattro secoli, occupando la penisola e deportandoli poi tutti, come già detto, nel ventesimo secolo. L’Ucraina è la garante dei diritti dei tartari di Crimea e questa è una delle ragioni principali per cui l’Ucraina non può accettare il “ritorno della Crimea” alla Russia.



Qual è l’atteggiamento della popolazione russofona nelle regioni orientali dell’Ucraina e di Odessa? Anche qui vi è il rischio di spinte indipendiste?

La cosiddetta “domanda di secessione” è istigata dall’esterno, cioè dalla Russia, ed è un elemento dello scenario tipo Anschluss perseguito dal regime di Putin. Putin non è solamente irritato perché il popolo ucraino ha abbattuto il regime di Yanukovych, cleptocratico come il suo; Putin non accetta l’Ucraina come uno Stato indipendente, ma la considera una parte della Russia, che solo temporaneamente è rimasta separata, in conseguenza della più grande catastrofe geopolitica del XX secolo, il collasso dell’Urss. Si deve ricordare che al summit della Nato a Bucarest, nel 2008, Putin disse a George W. Bush che l’Ucraina “non è assolutamente uno Stato”. Forse Putin ritiene che il tempo sia maturo per eliminare le conseguenze della “catastrofe geopolitica” e far tornare l’Ucraina nella nuova Urss, l’Unione Euroasiatica. Ora sta scegliendo la strada della frammentazione dell’Ucraina, cercando l’adesione progressiva delle varie sue parti: la Crimea, le regioni del sud e dell’est contigue alla Russia, per poi creare, sul resto del territorio, uno Stato marionetta leale al Cremlino.

 

Come dovrebbero intervenire, a suo parere, l’Europa e gli Stati Uniti?

Siamo grati all’Europa e agli Stati Uniti per la solidarietà e l’appoggio politico al popolo ucraino durante la sua lotta contro il regime di Yanukovych. Questo sostegno è stato molto importante, perché nella piazza Maidan gli ucraini difendevano i valori europei, quelli di cui si discute normalmente nelle capitali europee. A Kiev abbiamo accolto con parole di gratitudine i resoconti di ciò che succedeva e il sostegno degli italiani, a Milano, Roma, nelle altre città italiane. Ora che gli ucraini hanno vinto contro la dittatura di Yanukovych devono affrontare l’aggressione russa. L’Ucraina ha bisogno di assistenza economica, finanziaria, militare, le forze sono troppo sproporzionate e non si tratta di un problema solo ucraino. Con la sua politica, Putin sfida tutta l’Europa, violando i principi fondamentali degli Accordi di Helsinki del 1975 sulla sicurezza dell’Europa. Uno Stato viola l’integrità territoriale di un altro Stato, tenta di annetterne una parte, di cambiare i confini. Se l’Europa non ferma ora la Russia, essa arriverà alla Manica, avverando il sogno dei marescialli sovietici nel 1945.

 

Sta dicendo sul serio?

Se la comunità internazionale chiude un occhio sulle attuali azioni russe, apre la strada all’invio di truppe russe in Stati membri della Ue e della Nato, sotto il pretesto della protezione di minoranze russe, come in Estonia o Lettonia, per esempio. Adesso è ancora possibile contrastare la Russia con iniziative non militari, ma potrebbe non essere più possibile tra breve. L’Ue ha la straordinaria opportunità di usare la sempre più forte dipendenza della Russia dal mercato europeo per premere su Mosca in risposta alle sue azioni. L’Unione Europea, insieme agli Stati Uniti, deve impegnare il Cremlino al rispetto delle norme di un comportamento civile, un’influenza possibile come dimostra il caso dell’Iran. La Ue non può ignorare le aggressioni della Russia e una politica come quella di Chamberlain e Daladier nel 1939 può portare solo a una nuova guerra in Europa.

 

L’economia ucraina sembra versare in uno stato molto grave. In che forma e da chi può venire un aiuto?

La banda di Yanukovych ha lasciato in eredità uno Stato saccheggiato. E’ necessario non solo aiuto finanziario dall’Ue, cui alcuni Stati membri sono già disposti, ma che siano attuate reali riforme. Il governo conta anche su una riapertura della cooperazione con l’Fmi, ma rimane il fatto che nessuno potrà fare riforme, se non gli ucraini stessi.

 

Una grande quantità del gas russo arriva in Europa attraverso gli oleodotti ucraini. Ciò rappresenta un ostacolo a una reazione decisa da parte della Germania?

Senza dubbio, il gas è una delle leve in mano a Mosca nei confronti di importanti Paesi europei, a partire dalla Germania, il cui ruolo chiave all’interno dell’Unione è ovvio. Il ruolo della Germania negli eventi ucraini è piuttosto ambiguo: da un lato, Berlino difende l’integrità territoriale dell’Ucraina e reagisce all’invasione russa della Crimea; dall’altro, cerca di mantenere a tutti i costi relazioni normali con la Russia, come se niente fosse successo. E’ questa la contraddizione fondamentale della politica tedesca, la contraddizione tra i valori europei e gli interessi commerciali delle società tedesche nell’Est. In primo piano c’è il business del gas e l’Europa rimarrà spaventata quando si renderà conto di come è rimasta avvolta nei tentacoli della corruzione del gas proveniente dall’Est.

 

Che cosa dovrebbe fare l’Europa per affrancarsi dalla dipendenza dalla Russia?

Questo è un punto cruciale per l’Europa, come svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo utilizzando la dipendenza finanziaria della Russia dall’Europa. Si può certamente utilizzare il fatto che il 70% del gas russo viene esportato verso la Ue, dove sono concentrati i depositi sotterranei, e uno studio del tipo Una settimana in Europa senza gas russo potrebbe dare una effettiva indicazione della dipendenza europea e mandare un forte segnale a Mosca sulla possibilità di una drastica riduzione degli acquisti del suo gas. In più, l’87% del petrolio russo è esportato verso l’Europa e l’Ue ha riserve per novanta giorni: qui lo studio sarebbe “un mese senza petrolio russo”. L’Europa dovrebbe abbandonare il progetto del gasdotto South Stream, così come l’ampliamento del North Stream, operazioni motivate politicamente ma meno sul piano economico. Le società russe hanno imparato ad adeguarsi alla legislazione europea per operare nel mercato comune europeo, l’Europa deve imparare ad agire fuori dagli schemi. Altrimenti è sulla via della sua dissoluzione, incapace di reagire alla politica aggressiva della vicina tirannia orientale e prigioniera degli idrocarburi russi.

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