Ovviamente per nulla intimorito dalle blande e confuse reazioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, Putin ha proceduto ieri a firmare solennemente a Mosca l’annessione della Crimea alla Russia. Sul piano formale non si tratta tuttavia di un’annessione bensì della risposta positiva della Russia a una richiesta venutale, tramite un referendum popolare, dalla stragrande maggioranza degli abitanti di quella penisola. Sul piano sostanziale non cambia molto poiché mai il governo dell’Ucraina indipendente aveva realmente detenuto la sovranità di quel territorio, da subito soggetto a un ampio protettorato russo in forza di un patto immediatamente siglato fra Kiev e Mosca. Ciononostante, a causa della clamorosa solennità del gesto compiuto ieri a Mosca, quella che era una consolidata situazione di fatto potrebbe trasformarsi in un’onda sismica capace di provocare dissesti delle relazioni internazionali alla scala intercontinentale se non planetaria. Di qui l’urgenza di fare di tutto per impedire che tutto ciò possa accadere.  



Nel 1954, ancora al tempo dell’Unione Sovietica, Kruscev aveva spostato la Crimea dalla giurisdizione della Repubblica Socialista Sovietica Russa a quella della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina in un’epoca in cui i confini tra le due repubbliche erano più amministrativi che politici. Svanita l’Unione Sovietica, il problema si era immediatamente posto perché la Crimea era russa sin da quando l’impero zarista l’aveva tolta ai tatari, e perché il suo porto di Sebastopoli era l’unica grande base possibile per la flotta militare russa del Mar Nero. Per non cedere la Crimea l’Ucraina aveva confermato la concessione della base navale di Sebastopoli a Mosca, ma evidentemente una situazione del genere non poteva durare all’infinito. Le buone ragioni per così dire “locali” del passaggio della Crimea alla Russia insomma non mancano, come non mancano le buone ragioni “locali” di un’altra analoga crisi pronta a scoppiare: quella della striscia di territorio moldavo al di là del fiume Dniestr pure abitato da russi e pure oggi già annesso de facto alla Russia. Purtroppo, però, nel momento in cui escono dall’ambito locale e regionale per entrare sulla scena planetaria, questioni del genere diventano sempre più pericolose e sempre meno governabili.



Senza tornare in dettaglio su cose già dette, limitiamoci qui a ribadire che l’Unione Europea avrebbe delle carte da giocare, a patto di non mettersi al traino della Germania e nemmeno degli Usa e della Gran Bretagna. La prima, come la storia ahimè insegna in grande abbondanza, quando si mette a giocare da protagonista nell’Europa centro-orientale diventa pericolosa non solo per gli altri ma anche per se stessa. I secondi non hanno mai avuto e non hanno nemmeno adesso alcun reale interesse alla stabilità in tale area. Il loro sogno è che diventi “balcanica” quanto più possibile.



Non c’è un solo caso nella storia europea in cui le sanzioni abbiano funzionato. Per di più, in una situazione di generale interdipendenza economica come l’attuale, potrebbero soffocare sul nascere il fragile processo di uscita dalla crisi economica internazionale di cui si avvertono alcuni primi segni. Alla Russia si deve garantire che il processo di allargamento dei confini della Nato e dell’Unione Europea verso est è concluso; e che quindi né l’Ucraina né la Bielorussia verranno mai chiamate a farne parte. In cambio all’Ucraina e alla Bielorussia Mosca dovrà nel suo stesso interesse consentire  di diventare positivamente dei paesi-cerniera tra l’economia dell’Ue da un lato, e dall’altro quella non solo della Russia ma anche di tutti quei paesi dell’Asia centrale che hanno comunque con la Russia consolidati legami storici, culturali ed economici. 

Questi potrebbero essere i termini di un patto euro-russo conveniente e forte quanto basta per giustificare la composizione delle difficoltà immediate e degli attriti di breve periodo. Continuo però a credere che dentro l’Unione Europea gli antesignani naturali di una politica del genere sono l’Italia e la Polonia. 

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