A una folla di suoi sostenitori plaudenti il primo ministro turco Recep Erdogan ha annunciato ieri l’abbattimento da parte di aerei turchi di un jet militare siriano in volo alla frontiera fra i due Paesi. Giocando la carta dell’orgoglio bellico ha così colto l’occasione per riguadagnare (o per tentare di riguadagnare) popolarità in un momento in cui il suo governo è più che mai indebolito a causa degli scandali che di recente hanno travolto alcuni suoi stretti collaboratori.
Secondo Erdogan l’aereo aveva sconfinato ed è stato abbattuto solo dopo che per quattro volte gli era stato intimato via radio di cambiare rotta. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights (Osservatorio siriano per i Diritti umani), un organismo dell’opposizione siriana con sede in Gran Bretagna, l’aereo abbattuto stava partecipando a operazioni di bombardamento di posizioni degli insorti nei pressi della città siriana di Latakia; e per ammissione delle stesse autorità militari turche è poi caduto in territorio siriano mentre sembra che il pilota si sia salvato lanciandosi con il paracadute.
Tenuto conto della geografia dei luoghi uno sconfinamento del jet siriano nello spazio aereo turco non è da escludere, ma la decisione di prenderlo di mira è pretestuosa poiché evidentemente era diretto verso obiettivi in Siria e non in Turchia. Gli 800 chilometri di frontiera turco-siriana sono divenuti una delicata zona di attrito da quando le relazioni fra i due Paesi, già in ottimi rapporti tra loro, sono divenute ostili. Nel quadro dell’assedio al regime di Assad, nell’ottobre 2011 Washington aveva chiesto e ottenuto che Ankara voltasse le spalle a Damasco. E oggi le basi più sicure degli insorti siriani che hanno il sostegno americano si trovano in territorio turco. Di qui attriti e scontri attorno alla linea del confine, di cui come sempre fanno soprattutto le spese le popolazioni locali.
Nessuno dei due Paesi ha però interesse a che l’attrito si trasformi in una vera e propria guerra aperta. Pertanto tutto induce a credere che anche questo episodio non avrà conseguenze clamorose, così come non le ebbe nel 2012 l’abbattimento più o meno nella medesima area da parte dell’aviazione di Assad di un aereo turco che aveva analogamente sconfinato nello spazio aereo siriano. Allora la Turchia reagì con un bombardamento di artiglieria campale dal suo territorio verso obiettivi in territorio siriano. L’episodio viene però a ricordarci che la crisi siriana non è finita solo perché è cominciata quella della Crimea. Sono aperte tutte e due (anche se per fortuna almeno finora la situazione in Crimea è ben diversa da quella che si registra in Siria); e in tutti e due i casi c’è di mezzo la Russia.
Nella settimana che ora inizia il presidente americano Obama sarà in Europa per concordare con gli alleati una linea comune verso la Russia di Putin con riguardo alla crisi della Crimea e quindi dell’Ucraina. È però una crisi che se presa da sola diventa più che mai irrisolvibile. Il caso della Siria e quello dell’Ucraina vanno considerati nel loro insieme; e senza dimenticarsi della crisi centroeuropea prossima ventura che è quella della Trans-dniestria, la striscia di territorio russofono al di là del fiume Dnjestr che sulle carte geografiche è ancora moldava ma che la Russia si è già annessa. Speriamo che qualche governo, magari il nostro, solleciti Obama e gli altri suoi alleati europei a tenerne conto.