“Perché parlare d’identità europea? Un incontro dal titolo: Irlanda o Germania: Identità o strategia? non sarebbe pensabile. Ma dell’identità europea va parlato proprio perché pensiamo che sia chiara la nostra identità nazionale”. Con queste parole Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle opere e ospite del primo “Rhein-Meeting” tenutosi a Colonia a metà marzo, ha introdotto il suo intervento conclusivo. Gli organizzatori del Meeting sono partiti dalla constatazione che l’idea europea nella società e in gran parte della politica tedesca sono state ridotte all’unione monetaria, a strategie economiche e finanziarie. E questo a noi non bastava. Di qui l’idea di approfondire il tema della nostra identità: mi definisco tedesco, italiano, irlandese, ma raramente europeo. Perché? Eppure è proprio questa identità quella fondante delle identità nazionali.



Lo ha esposto Joseph Zöhrer, docente di Teologia a Freiburg i.B. e allievo di Joseph Ratzinger, intervenuto sull’idea di Europa in Benedetto XVI. “Geograficamente l’Europa è un’idea astratta e indefinibile che nel corso della storia si è modificata svariate volte” ha sostenuto. Essa è invece un contenuto culturale, il luogo in cui l’esperienza cristiana ha assunto il proprio volto introducendo il principio fondamentale della dignità di ogni persona umana, la distinzione tra politica e religione, esaltando la ragione e un suo rapporto positivo con la fede che è all’origine di quella passione per la ricerca e la scienza che Lucio Rossi, fisico del Cern, ha testimoniato con il suo contributo sulle nuove frontiere della ricerca apertesi con l’individuazione del “bosone di Higgs”.



“Una Nazione non ha bisogno di giustificare il motivo della propria esistenza, l’Unione Europea sì” ha sostenuto Scholz. “È nata per assicurare la pace e la libertà in Europa. Ciò si è modificato nel corso del tempo: il mezzo per raggiungere questo scopo, l’economia (allora l’unione del carbone e dell’acciaio), si è trasformato nello scopo. Pace e libertà sono oggi scontate e quindi siamo alla ricerca di una nuova legittimazione per un’unione economica”. Su questo punto Scholz ha concordato con il giornalista irlandese John Waters che nel suo intervento si era espresso molto criticamente nei confronti della riduzione dell’Europa a un apparato burocratico e, riprendendo l’immagine usata da Benedetto XVI nel suo discorso al Parlamento tedesco, del bunker in cui la ragione era stata rinchiusa. “Non possiamo mitizzare l’Europa aspettandoci da essa ciò che mai ci potrà dare”.



E non si tratta soltanto del problema di una maggiore legittimazione democratica di quanto non sia dato allo stato attuale. “Il futuro dell’Europa dipende dalle società civili europee” ha sostenuto ancora Scholz. Il vero pericolo è una ragione che diventa irragionevole, che esalta come assoluto ciò che è particolare e relativo: il benessere, il profitto, la salute o lo Stato. 

“Se l’economia diventa un idolo è la ragione a essere sfidata!”. Per questo il vero problema è e rimane la persona umana, se l’io rimane fedele a stesso. “Considerare come assoluto ciò che è relativo conduce ultimamente a una deresponsabilizzazione del singolo. Per questo la vera sfida è che la ragione torni a essere ragionevole. Io, Bernhard Scholz, come rispondo alle sfide della vita, in questa circostanza, con le mie potenzialità, i miei limiti, la mia storia?”.

Il Rhein-Meeting si è concluso con l’annuncio della prossima edizione che avrà a tema Il rischio dell’educazione. Perché l’alternativa tra identità e strategia non riguarda solo l’Europa, riguarda ogni uomo. Sono io, “io”? Posso riconoscere, vivere, far fiorire la mia identità? Posso, voglio pormi la domanda dell’origine, dell’essenza, della natura, della verità della mia persona? O sono costretto a pensare e ad agire strategicamente? Chi, cosa riduce la mia persona e mi priva della libertà? Perché di questa alternativa si tratta: libertà o schiavitù. Di chi, di cosa mi faccio io dipendente? Di quel mistero, che esso stesso è essere e ragione, di cui la mia persona è immagine o di un’immagine che io stesso mi sono costruito o che − ancor peggio − lascio che altri mi impongano fino all’alienazione di me?

Abbiamo bisogno di testimoni, di uomini che ci siamo amici e compagni sulla strada del destino e che ci aiutino a dare risposta a questa domanda. Non si può scoprire la propria identità se non a partire da un rapporto, da un’amicizia. Perché la domanda di partenza e al contempo lo scopo dell’educazione è come io posso diventare me stesso. È la strada che l’Essere stesso ha scelto facendosi presenza amica dell’uomo nell’avventura della vita.