Sono sopravvissuti alle persecuzioni staliniane in uno sparuto numero: in Crimea, concentrati quasi tutti nella città di Kerch, vivono ancora 500 appartenenti alla comunità italiani, discendenti dei veneziani che giunsero qui secoli fa. Fino agli anni trenta se ne contavano almeno 5mila, poi le espulsioni e quindi la deportazione nei gulag di Stalin, che cercava di russificare la penisola della Crimea, importantissimo snodo strategico. Se Stalin sia riuscito a rendere russa la Crimea, ce lo dicono le immagini che vediamo in questi gironi dai tg, con le truppe russe accolte come liberatori dalla maggior parte della popolazione russofona. “Ci sono vari atteggiamenti, vari sentimenti nella popolazione” dice Giulia Giachetti Boico, presidente dell’associazione Cerkio, gli italiani che vivono in Crimea, raggiunta telefonicamente da ilsussidiario.net. “Alcuni appoggiano le truppe russe, altri no, molti hanno semplicemente paura. Non c’è una sola reazione, non c’è un unico punto di vista”. Gli italiani, dice ancora, “vivono con grande paura e preoccupazione queste ore, possiamo solo pregare e lo facciamo continuamente, per chiedere pace nella terra dove siamo nati e che si faccia strada la saggezza in tutti coloro che prendono le decisioni e determinano la sorte della gente”.
Signora Boico, come è la situazione a Kerch dove vive, anche lì ci sono truppe russe in città?
I soldati russi hanno circondato la città, sembra dalle ultime notizie che abbiano occupato lo scalo portuale da dove partono i traghetti per la Russia, ma grazie a Dio non ci sono stati scontri o violenze, è tutto pacifico.
E’ vero quello che sentiamo dire in occidente, che la maggior parte della popolazione ha accolto i soldati russi con gioia?
Non esiste un unico sentimento nella popolazione, ci sono quelli che appoggiano i russi e quelli che si oppongono e quelli che hanno soltanto paura. Il popolo della Crimea non è unito in una sola identità, è diviso, ma quello che conta è che per adesso non si sono registrati episodi di scontro.
Voi appartenenti alla comunità italiana come vivete questa situazione?
Siamo molto preoccupati, la situazione è complicata e secondo me anche molto pericolosa. Siamo stati di nuovo in chiesa a pregare per chiedere pace nella terra dove siamo nati e chiedere la saggezza per tutti coloro che prendono le decisioni e determinano la sorte della gente, che evitino il sangue. La nostra comunità ha vissuto tante tragedie in passato, abbiamo paura di vivere di nuovo la violenza, ma la situazione è davvero allarmante. Siamo preoccupati per tutti i nostri amici e parenti ovunque si trovino in Crimea.
Abbiamo visto i vostri molti appelli alla preghiera, sulla Rete: come vi aiuta la fede in queste ore?
E’ difficile parlare al plurale quando si parla di fede. Per quanto mi riguarda la fede mi aiuta in ogni situazione difficile. A me pare che Dio mi risponda in modo che non sempre capisco, ma allo stesso tempo mi tranquillizza. L’importante è restare fedeli a se stessi e alla propria identità e poi Dio darà quello che vorrà dare.
Ci sono anche preti cattolici fra di voi, naturalmente.
Qui a Kerch esiste una chiesa di epoca romana, la storia di questa terra è molto bella e interessante, è triste che adesso dobbiamo parlare solo della situazione attuale, ma l’Ucraina e la Crimea sono paesi molto belli e ricchi di storia e cultura. Ci sarebbe tanto da dire sulla nostra storia e mi dispiace che dobbiamo invece parlare di cose orribili come la guerra.
Vi sentite ancora vicini all’Italia o invece dimenticati?
Siamo stati dimenticati a lungo, ma adesso stiamo riscoprendo tanta amicizia e tanto affetto. Anche l’ambasciata italiana e il consolato ci telefonano spesso per sapere come stiamo. Non siamo cittadini italiani per cui non possiamo contare su un aiuto reale da parte dell’Italia anche se ne abbiamo bisogno, ma abbiamo comunque bisogno di non sentirci soli. No, non ci sentiamo abbandonati, abbiamo molti amici.
Anche il Papa domenica ha pregato per la Crimea.
Abbiamo bisogno anche del suo appoggio, Papa Francesco è una personalità molto importante e speriamo che con la sua preghiera riusciremo a risolvere la situazione in modo pacifico.
Cosa direbbe lei se potesse parlare ai potenti che inviano i soldati e minacciano la guerra?
Direi che non si può fare la guerra. Io credo in un’altra forza, in quella della parola e dell’amicizia anche a livello diplomatico e politico. Perché la vita nessuno la può restituire, la vita è il più grande valore democratico, la democrazia conta ogni singola vita come un tesoro, e questo tesoro non si deve rubare come in una rapina.
(Paolo Vites)