A un anno dalla morte di Hugo Chavez il Venezuela è sempre più in difficoltà. Le proteste avviate dagli studenti contro il suo successore, Nicolas Maduro, stanno provocando scontri molto violenti e le rivolte sono state fino ad ora represse nel sangue dalla Guardia Nazionale. Il paese è in ginocchio: l’inflazione è salita alle stelle, il pil è crollato, così come il cambio con il dollaro. Nei supermercati si fanno file estenuanti per acquistare generi alimentari che cominciano a scarseggiare. A monsignor Ovidio Pérez Morales, vescovo emerito di Los Teques nonché ex presidente della Conferenza episcopale e del Concilio plenario del Venezuela, abbiamo chiesto di fare il punto della situazione.



Eccellenza, la situazione sta peggiorando. Che sviluppi ci sono stati di recente?

E’ in atto un’acutizzazione della crisi. Abbiamo molti problemi, di sicurezza, alimentari, dei servizi pubblici, della salute, quello dei prigionieri politici che sono numerosi. Ma c’è un problema più profondo, che si potrebbe scrivere a caratteri capitali: si vuole imporre al Paese un progetto politico ideologico di tipo socialista. Ma non un socialismo qualsiasi, bensì quello alla cubana, sul modello di Castro, simile al socialismo reale. Questo è il problema principale da cui derivano molti degli altri problemi del paese.



A che punto è questo progetto?

E’ in marcia. Finora abbiamo potuto constatare che sotto le parole socialismo e comunismo si è verificato qualcosa di ancora peggiore: nei fatti quello cui abbiamo assistito è stata la statalizzazione selvaggia, la concentrazione del potere in una sola persona.

Questa situazione c’era già con Chavez, solo che il suo grande carisma riusciva a mascherare i problemi. Ora Maduro quel carisma non ce l’ha e i nodi vengono al pettine. È così?

E’ stato Chavez a lanciare quel progetto. Ed è vero che Chavez aveva un carisma molto particolare. Ma il progetto politico è lo stesso e oggi si sta manifestando in maniera molto chiara. Faccio un esempio: è stato convocato un “congresso per la pace nel Paese”, così lo chiamano, che però non prevede la presenza dei rappresentanti dei partiti dell’opposizione parlamentare. È evidente che non è un vero congresso per la pace ma qualcosa di molto diverso. Ebbene, alla fine della prima sessione del congresso il vicepresidente della Repubblica ha detto: continueremo ad applicare il programma per la patria. Mi domando, cosa si vuole veramente: un dialogo per accelerare il cammino di quel progetto?



C’è molta violenza nel Paese?

La fonte principale della violenza è precisamente la volontà di imporre quel progetto a tutta la popolazione. Ma il 50 per cento della popolazione non simpatizza con quel progetto. Quelli che sono d’accordo con un sistema alla cubana sono una percentuale molto ridotta della popolazione.

La crisi che impatto sta avendo sulla popolazione?

Ci sono gli studenti che per primi hanno dato vita alle proteste, persone e gruppi della società civile e i partiti dell’opposizione. In uno degli stati del nord del Paese, al confine con la Colombia, è praticamente in atto un’insurrezione.

 

Cosa ha innescato la rivolta?

 Parecchia gente sta prendendo coscienza del fatto che problemi come quelli della sicurezza piuttosto che quelli alimentari o sanitari si sono aggravati proprio a causa dell’imposizione del progetto comunista. Per questo non basta che liberino i prigionieri politici, che per carità è una cosa giusta; in gioco c’è qualcosa di molto più profondo. Liberano i prigionieri ma il problema rimane. Non è quella la soluzione. È successa la stessa cosa che si è verificata alla morte del re Salomone… 

 

Si riferisce al personaggio biblico?

 Proprio lui. Il successore di Salomone era Roboamo. La gente si presentò da lui per chiedere che fosse più soave del suo predecessore. Ma egli invece di accogliere quelle richieste, decise di essere ancora più violento. Allora quella gente se ne andò e formò il popolo di Israele. È quello che sta accadendo da noi nel nord del paese con la guardia nazionale che reprime nel sangue le manifestazioni degli studenti. Quello che è in atto in Venezuela non è un problema di democrazia debole o imperfetta. Si tratta di un progetto ben preciso che punta al controllo di tutti gli aspetti della vita di una nazione: le comunicazioni sociali, la proprietà, l’educazione. Proprio qui è evidente che si sta portando avanti un progetto di ideologizzazione in senso marxista. Un esempio? Stanno eliminando il programma di educazione religiosa dalle scuole.

 

Che contributo può dare la Chiesa? Anche il Santo Padre ha espresso forte preoccupazione.

 L’azione della Chiesa è molto limitata. Mi spiego. Una cosa che ha fatto questo regime è stata squalificare gli uomini della Chiesa. Cominciando dal cardinal Castillo Lara, che è morto qualche anno fa dopo essere stato governatore del Vaticano. La stessa cosa l’hanno fatta con quello attuale e con tutti i vescovi. Adesso la cosa va avanti in tono minore perché vogliono evitare che la Chiesa abbia la forza di unire le persone. Per questo motivo la Conferenza episcopale si trova in difficoltà in questo momento. Il governo non vuole che la Chiesa si rivolga al popolo e convochi i diversi settori sociali. Vuol essere il governo a svolgere questa funzione. Non ammette che ci siano alternative al suo potere. Le posso anche fare un altro esempio…

 

Prego.

Abbiamo l’Assemblea nazionale, ma solo in teoria. Infatti l’Assemblea ha affidato al presidente della Repubblica tutti i poteri per legiferare. Se chiudessero anche materialmente le porte dell’Assemblea nazionale nessuno se ne accorgerebbe, visto che praticamente già non esiste. Non solo il potere legislativo, al presidente risponde anche il tribunale supremo di giustizia, la corte. In Venezuela non c’è più divisione dei poteri, tutto è concentrato nelle mani del presidente.

 

Mi stava dicendo che i margini che la Chiesa ha di incidere sulla situazione sono ridottissimi. Cosa resta da fare in un contesto del genere?

 Siamo disposti a fare sacrifici, d’altronde non è la prima volta che la Chiesa si trova in una situazione simile e non sarà nemmeno l’ultima. Sappiamo di dover andare sulla strada dell’evangelizzazione invocando la riconciliazione e la pace. E dicendo chiaramente che quel progetto continua la sua marcia. Come fa la Conferenza episcopale, che ricorda sempre che nel 2007 si è votato un referendum che chiedeva di approvare l’introduzione del sistema socialista, ma la popolazione ha votato no. Di fatto quel sistema è stato applicato al di fuori della Costituzione. Di recente la Conferenza episcopale ha ribadito molto chiaramente quello che aveva detto in occasione di quel referendum e cioè che quel progetto è moralmente inaccettabile. Ma intanto quel progetto continua la sua marcia. Sappiamo anche un’altra cosa.

 

Che cosa?

Hanno futuro la libertà, la giustizia, la solidarietà, la fraternità. Non hanno futuro l’oppressione e i regimi dittatoriali. Che Dio ci assista.