E così l’Argentina si è stufata e ha deciso di reagire a una situazione che la sta portando verso una crisi (l’ennesima), ma soprattutto a una rottura del patto sociale che è già in atto. La favola della “Decada ganada” si scontra quotidianamente con una realtà dove ormai si è arrivati a una disgregazione totale, frutto non solo del fallimento delle assurde politiche governative che era largamente prevedibile, ma all’esplosione di quella cultura dell’odio, tanto cara al kirchnerismo che, nel suo assolutismo giacobino, ha trasformato il Paese, per esempio, in un “Far West” totale dal punto di vista della sicurezza. Continuano e si moltiplicano i linciaggi di ladri da parte della gente comune che ormai non fanno più notizia, come la violenza di bande armate che controllano interi quartieri, non solo periferici, come il potere del narcotraffico che ormai si è installato stabilmente in Argentina.



Le principali organizzazioni sindacali hanno così proclamato uno sciopero generale che sta avendo un effetto paralizzante: le strade di Buenos Aires, come quelle di tutto il Paese, sono deserte, sono garantite solo le attività essenziali e, nonostante gruppi di estrema sinistra abbiano organizzato blocchi stradali per impedire alla gente di recarsi al lavoro, il fatto di per sé risulta marginale e la manovra viene stigmatizzata e ingigantita da un Governo che ormai ricorre alle scuse più fantasiose per coprire il suo fallimento. Il suo portavoce, Capitanich, stigmatizza i blocchi sottolineando che, non fosse per essi, lo sciopero sarebbe fallito, mostrando un atteggiamento a dir poco ridicolo per due ragioni. La prima è che il Governo nega l’evidenza, come sempre, dato che i picchetti, lo ripetiamo, sono risultati totalmente superflui al successo dello sciopero. La seconda è che l’arma dei blocchi è stata sempre sostenuta dal potere kirchnerista come un sacro diritto di espressione popolare, al punto da portare in Parlamento un elemento come il “deputato” Luis D’Elia, grande protagonista di questo tipo di manifestazioni e di altre forme meno “democratiche” di protesta.



L’inflazione, unita alla grave situazione economica in cui versa l’Argentina, ha portato alla necessità di un sostanziale adeguamento salariale da parte di molte categorie di lavoratori, alcune delle quali godono di stipendi da fame sui quali grava un’imposizione fiscale enorme, mai vista. Ma è la situazione generale, con politiche economiche che hanno strozzato l’economia e aumentato un livello di disoccupazione impensabile anni fa, a creare i maggiori problemi che hanno portato le organizzazioni sindacali a opporsi fermamente a un potere politico che li aveva cooptati anni fa attraverso la figura “carismatica” di Nestor Kirchner e il suo mare di promesse incompiute già sotto la sua presidenza e aggravatesi fino ad arrivare all’estremo opposto raggiunto nella gestione di Cristina, provocando una frattura ormai insanabile non solo con le organizzazioni sindacali ma con la società intera.



Governo che ormai conta solo sull’appoggio quasi imposto da parte di chi è impiegato nello Stato e vede la sua situazione seriamente compromessa in caso di un cambio radicale, del mondo intellettuale foraggiato con ampie elargizioni e con l’ovvia partecipazione di organizzazioni filogovernative sui diritti umani, anche loro cooptate con lucrosi finanziamenti e coinvolte in scandali che hanno dimostrato il loro uso effettuato dal potere, riducendosi a scudo mediatico atto a coprire le varie malefatte governative.

Durante la conferenza stampa dei leader sindacali che si è appena conclusa, tutto quanto fino a qui scritto è stato ribadito addirittura con veemenza, sottolineando che il messaggio forte dello sciopero generale è per la Presidente Cristina Fernandez de Kirchner, ma anche rendendosi disponibili al dialogo, facendo capire che la manifestazione potrebbe non essere replicata. Chissà cosa penserebbe l’ex Presidente Alfonsin, scomparso 5 anni fa, l’uomo politico che ereditò un Paese da una dittatura militare e fece di tutto per portarlo a vivere una democrazia vera anche attraverso misure economiche atte a svilupparlo: incontrò una forte opposizione delle organizzazioni sindacali (che in Argentina sono di matrice peronista), che con ben 14 scioperi generali costrinsero il dirigente radicale a rassegnare le dimissioni e consegnarono il Paese nelle mani del peronista Menem, che fece tutto il contrario di quanto promesso (ancora una volta la storia pare ripetersi), portando l’Argentina verso una deriva neoliberista che terminò con l’infausta crisi del 2001.

Di certo la favola kirchnerista della “Decada ganada” è l’ennesimo prodotto peronista che, come i precedenti, hanno portato l’Argentina a crisi devastatrici dalle quali ha potuto riprendersi solo grazie alla sua produzione agricola e alla carne, settori che il kirchnerismo è riuscito a mettere in crisi negli ultimi cinque anni, nonostante una situazione economica mondiale estremamente favorevole al loro sviluppo.

Quando le organizzazioni sindacali riusciranno ad aprirsi verso un dialogo politico serio che includa anche settori non aderenti al peronismo, allora il Paese avrà compiuto un passo decisivo verso quel cambio che pare essere l’unica soluzione in grado di garantire uno sviluppo e la fine delle crisi decennali che lo investono.