Un americano su 38 vive a New York. Abbiamo più gente qui che in 39 dei 50 Stati della Federazione. A New York ogni 4 minuti nasce qualcuno, ogni 9 qualcuno muore. Siamo affollati, siamo incasinati, qua succede sempre di tutto e di più. Non è il Corriere della Sera che tira fuori la questione che forse è giunta l’ora di andarsene da questo posto: è chi ci vive che se lo chiede. 



Vivere a New York è sempre stato impegnativo. “Se ce la fai lì, ce la puoi fare ovunque”, recita la celeberrima New York, New York – sottintendendo in maniera tutt’altro che velata che uno può anche non farcela. E se non ce la fai, ti puoi far male. La mia esperienza dice che se sopravvivi al primo impatto (quello della vita vera, una volta che “l’effetto turista” evapora) poi New York comincia a crescerti addosso, ti entra dentro finché non ti ritrovi ad essere New York-dipendente. Ma vi assicuro che ne ho visti tanti arrendersi. Certi sono ancora lì a raccogliere i cocci e leccarsi le ferite.



In questi anni New York è diventata quasi tutta bella da vedersi e da viverci, sempre più ricca di eventi e certamente uno dei posti più sicuri del mondo, con la criminalità in piena ritirata. Ma è sempre più affollata, incasinata, e costosa, tanto costosa. Chi vuol fare il sindaco di un posto così? Un uomo di ferro come Rudy Giuliani, un Napoleone come Michael Bloomberg, un (ex?) rivoluzionario come Di Blasio, che vuole rendere questa città più abbordabile, praticabile anche a chi non è milionario. 

Il sogno di Di Blasio è che questa affascinante città non sia solo per i ricchi ma per tutti coloro che la amano e vogliono viverci. È probabilmente vero che c’è un 2% di newyorkesi che fruisce dell’80% delle “cose belle” che NY offre tra concerti, spettacoli, eventi sportivi, etc. È certamente vero che il costo della vita – affitti su tutto – sta arrivando a livelli insostenibili. 



Come si fa? Da dove si comincia? La linea guida d’azione, la strada da percorrere sembra essere una sola: più “pubblico”, meno “privato”. Per far ciò il Comune di New York deve trovare risorse finanziare per poter offrire (semplifico, ma la sostanza è questa) quel che riterrà vitale ad un prezzo che non sia quello determinato dal libero mercato, bensì un prezzo social-politico. Le risorse finanziarie si ricavano in due modi: aumentando le tasse e tagliando su servizi ritenuti non vitali. 

Prime vittime sacrificali di questa bonifica – abbondantemente annunciate in campagna elettorale – “i ricchi” e le “Charter Schools”. Sui “ricchi” la pensata è molto semplice: li tassiamo un po’ di più, che tanto non se ne accorgono neanche, e con quei soldi offriamo più asili nido, cosi le mamme possono andare a lavorare senza spendere tutto in baby sitters. Attenzione invece alla questione delle “Charter Schools”. Sulla stampa italiana spesso le trovo assimilate alle scuole private/libere. Non è così. Le Charter sono scuole gestite da gruppi di genitori, ma finanziate da soldi pubblici. Secondo alcuni in questo modo la città offre un serivizio migliore di quello pubblico, e certamente spende meno.

Le scuole private invece sono proprio autonome, libere: né esse ricevono fondi pubblici, né le famiglie possono portarne i costi in detrazione fiscale. In questi anni di crisi le Charter sono andate aumentando, le scuole libere soffrono. Di Blasio sta cercando di barcamenarsi in questa palude. Strada difficile quella del sindaco, che in questi ultimi giorni si è fatto due nemici ed un “possibile alleato”. 

Il primo nemico sono ovviamente i ricchi che non hanno nessuna intenzione di pagare più tasse. Non solo. “I ricchi” sostengono anche con vigore le Charter Schools, esattamente come tutti i genitori (il secondo nemico) coinvolti nelle Charter, che non sono affatto ricchi. È una questione di libertà, e il fatto che un sindaco ci venga a dire quel che possiamo e non possiamo fare non piace. Il “possibile alleato” invece – inaspettato – è l’Arcidiocesi. Il cardinale Dolan si trova a dover chiudere scuole. Di Blasio – con un Comune privo di risorse – ha bisogno di strutture …che ne venga fuori un matrimonio?

Comunque sia, è un fatto che in questi vent’anni in cui mi sono ritrovato ad essere uno degli attori del “Se ce la fai lì, ce la puoi fare ovunque”, mai avevo sentito tanti “forse è ora di andarsene”. La grande mela è sempre stata un grande porto di mare, materialmente e figurativamente, ma sempre con una fisiologicità, una specie di legge naturale nel continuo via vai. Adesso le cose sembrano diverse. Sarà colpa dei danni fatti dai predecessori o paura dell’era Di Blasio?