Nel contesto europeo piuttosto tragico, descritto in un precedente articolo su queste pagine, è molto utile leggere quel che ha elaborato un think tank francese che fu fondato da un europeista convinto, Frank Biancheri, nei primi anni ‘90. Riproduciamo qui di seguito la traduzione di un estratto del bollettino n° 83 Europe 2020 del Geab, del 16 marzo 2014.



Se è pur vero che l’Ucraina – un piccolo Paese con una popolazione che non arriva a 50 milioni di abitanti – caratterizzata com’è dal confinare con due “mostri”, l’Europa e la Russia, non ha davvero altra scelta che “schierarsi”, non è la stessa cosa per l’Europa. Questa crisi rappresenta un test per la capacità dei politici nazionali di raccogliere lo strumento di indipendenza, di pace e di potere che, proveniente dai loro padri (le generazioni di politici che hanno governato fino alla fine degli anni ‘80), è a loro disposizione, ovvero quest’Europa unita e istituzionalizzata, che deve solo essere messa sotto controllo politico. La difficoltà consiste nel fatto che lo strumento che i politici devono ora afferrare non è l’Unione europea. Come abbiamo più volte spiegato, l’Ue non è che una tappa lungo il cammino della costruzione europea e, in questo momento, deve essere evitata.



Il contesto dell’Ue, nato dal Trattato di Maastricht del 1992, che avrebbe dovuto portare alla “unione politica e democratica” del continente europeo, è stato deviato dai suoi obiettivi. Da Maastricht a Lisbona è stata realizzata la sola Europa economica, ovvero l’allargamento senza fine di una zona di libero scambio (quella che la gente ora giustamente respinge), che serve solo agli interessi delle grandi lobbies di Bruxelles (che, per inciso, non sono i paesi membri, che ne sono ben lontani). Queste lobbies stanno esponendo il continente europeo al rischio di una fine drammatica (guerra e perdita dell’autonomia). Proponiamo di seguire otto raccomandazioni che, secondo noi, dovrebbero essere attuate con urgenza per tenere l’Europa fuori dalla trappola nella quale si sta cercando di farla cadere.



1. Tornare al metodo intergovernativo

Nell’ambito di questa gravissima situazione, non si può più “aspettare” Bruxelles (che consiste, purtroppo, in niente più che la Commissione o il Parlamento europeo), piuttosto il contrario. La questione deve tornare imperativamente agli Stati membri e al cosiddetto metodo “intergovernativo”.

2. Disattivare, oppure porre sotto controllo politico, il Seae, Servizio europeo per l’azione esterna (responsabile degli affari esteri dell’Ue)

Per fare questo, è imperativo punire l’irresponsabilità politica del Seae, e ricordare [a chi lo gestisce, ndr] che il suo compito è quello di attuare le decisioni prese dagli Stati membri. Il Seae non ha alcuna legittimità per parlare a nome dei cittadini europei, e ancor meno per prendere decisioni strategiche le cui conseguenze potrebbero essere la distruzione delle relazioni con i nostri vicini, l’avvio di guerre civili o la ricostruzione della “Cortina di ferro”. Sia nella forma che nella sostanza, non c’è niente di più semplice che ricordare al Seae le sue funzioni, e collegarlo a un organo decisionale più democratico e politicamente legittimo.

3. Esprimere una posizione comune sulla crisi

Qui le cose si fanno difficili. Se la baronessa Ashton e il Signor O’Sullivan [si veda la nota n. 2 del Geab n. 83, ndr] non possono fare alcunché dalla loro torre d’avorio, è perché “gli europei non sono in grado di parlare con una sola voce”. Quante volte lo abbiamo sentito dire, negli ultimi 25 anni? Ma questa volta l’Europa non ha scelta: deve raggiungere una posizione comune, altrimenti altre “agende” continueranno a controllare da lontano le operazioni. L’obiettivo, pertanto, è urgente, e la domanda è: “Come poterci arrivare”?

4 . Definire un’adeguata agenda comune

È importante, innanzitutto, mettersi d’accordo sull’obiettivo di questa “agenda” comune [ai paesi dell’Eurozona, ndr]. Visto che i pericoli che attendono l’Europa di oggi sono costituiti dalla guerra e dall’essere messa sotto controllo esterno, diciamo che l’obiettivo di questa “agenda” è quello di trovare un modo perché l’Europa mantenga la pace e conservi l’indipendenza. Per 60 anni abbiamo “venduto” l’Europa come garante della pace: è il momento di dimostrare che lo è sul serio. E gettar via domande standard del tipo “come garantire l’integrità dell’Ucraina?” e altre sciocchezze del genere. Se l’Europa non è in grado di garantire la propria [di unità, ndr], cosa potrebbe fare di utile per l’Ucraina? E inoltre, alla luce di quanto è già stato fatto, è per il momento assolutamente fuori dal gioco. Deve innanzitutto mettere ordine in casa propria!

5. Identificare un gruppo di Stati membri

Una vota stabilito il tema della discussione, dobbiamo chiederci chi è dovrebbe partecipare a questa posizione comune. Ovvero, quali possibilità sono in gioco?

I 28? l 28, ovvero l’Unione europea, innanzitutto. Questa Ue che è sempre stata in grado di parlare con una sola voce, e più che mai nello specifico caso dell’Ucraina! Macché, troppi, troppi interessi divergenti. Nei 28 ci sono anche piccoli paesi periferici, ex-satelliti dell’Unione sovietica. E allora è difficile, anche se abbastanza scusabile, far affidamento sulla loro obiettività nelle circostanze attuali (anche se le posizioni anti-russe sono in realtà molto più deboli di quanto la Commissione europea stia cercando di farci credere, con un obiettivo evidentemente strumentale). Com’è difficile, del resto, far affidamento sulla Gran Bretagna, un grande Paese, ma che in Europa non è che il fantoccio degli Stati Uniti (anche se il collegamento Uk-Ue si è notevolmente allentato negli ultimi anni: perdita di incisività, allontanamento dalle filosofie continentali, controllo del Paese da parte dei mercati finanziari). Arrivare a una posizione comune sulla questione ucraina è un esercizio acrobatico in cui è meglio non andare fuoristrada.

Il motore franco-tedesco? È un motore troppo debole, purtroppo, per far fronte alla violenza dell’attacco che l’Europa sta affrontando. Ed è anche illegittimo: come potrebbe mai, la posizione dei due paesi, essere imposta agli altri 26, che dovrebbero conseguentemente restare in posizione passiva? I due paesi – su questioni di medio termine un po’ meno importanti (come il rilancio dell’Europa, la protezione dei dati europei dalla Nsa, la difesa europea dopo il 2025, ecc.) – hanno recentemente cominciato a lavorar bene, ma non sembrano essere in grado di produrre molto su una questione urgente e gravissima come questa.

Le posizioni della Germania (soprattutto una Germania guidata da una tedesco-orientale), oltretutto, su tematiche come quella delle relazioni con la Russia, sono difficili da decifrare, poste come sono fra la forte interdipendenza energetico/commerciale e i vecchi riflessi anti-sovietici: quello della linea retta non sembra essere decisamente il percorso più breve. Si deve riconoscere, tuttavia, che la Merkel è l’unica leader ad aver cercato di prendere posizioni più equilibrate sia sulla questione ucraina che sui nostri rapporti con i russi (fatto, del resto, che le è valso un feroce attacco da parte dei media e, più ipocritamente, da parte delle istituzioni europee). Ma, dal lato francese, un Paese fondamentale per l’indipendenza del continente, siamo proprio fortemente delusi.

Stiamo cercando disperatamente di individuare quale sottile diplomazia sottostia, al di là dell’intelligenza del cittadino medio, alla posizione francese. Siamo stati capaci di vederla, in un qualche modo, al riguardo della Siria, ma questa volta… La posizione francese consiste solo in un affronto diplomatico gettato in faccia alla Russia (viaggio di François Hollande negli Stati Uniti il giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi di Sochi) e in una posizione marziale e intransigente riguardo Yanukovych e Putin. Detto questo, la pressione dei media riduce notevolmente lo spazio di manovra dei politici, ma quando un uomo [Hollande, ndr] è stato eletto leader politico, ha anche il dovere di sapersi liberare da trappole come questa, soprattutto in circostanze così gravi.

La coppia franco-tedesca, chiaramente, non sarà il motore per la realizzazione di un’agenda comune. Un gruppo di paesi volontari formato ad hoc per riportare la calma nel continente? Questa sarebbe una pista decisamente allettante, ma dobbiamo tornare al primo punto: tirar fuori una posizione comune dalla cacofonia dei 28 paesi? Scordiamocelo!

6. Chiedere una “Convenzione dei Capi di Stato dell’Eurozona per la Pace e l’Indipendenza Europea”

Continuando con il processo di eliminazione, non resta che una traccia: ancora una volta quella dell’Eurozona. Se per gli attacchi contro la moneta unica l’Eurozona costituisce l’ovvio e inevitabile interlocutore, sembra meno semplice – incredibilmente! – che possa esserlo anche su una questione geopolitica che ci riguarda direttamente. Innanzitutto l’Eurozona è, e continuerà a essere, un’entità composta dal “nocciolo duro” dei paesi fondatori. È priva della frangia europea “occidentale” e “occidentalizzata” (Gran Bretagna), mentre, al riguardo della frangia europea “orientale” e “anti-russa”, questa, seppur presente [nell’Eurozona, ndr], non è comunque troppo pesante.

I paesi più centrali hanno quindi la possibilità di affilare le loro argomentazioni, per rassicurarli sulla sicurezza della loro posizione, al confine con la zona d’influenza russa (gli argomenti sono numerosi e facili da trovare). La composizione dell’Eurozona, inoltre, è senz’altro rappresentativa delle diversità dell’Ue: può quindi generare un effetto-catena e guadagnarsi l’adesione (o quanto meno la passività) degli altri paesi membri. L’Eurozona, inoltre, ha a disposizione strumenti (costruiti durante la crisi dell’euro) che, seppur incompleti, sono comunque moderni ed efficaci. Fatto ancor più importante, la politicizzazione di questa nuova entità era già all’ordine del giorno, come rilevato dai “Manifesti” per l’unione politica dell’euro, dalle proposte per un Parlamento dell’Eurozona, e dalle altre idee innovative che sono apparse negli ultimi mesi. In ogni caso l’Europa è sempre stata costruita durante le crisi. Quella ucraina, pericolosa e disperata, è probabilmente anche ciò di cui l’Europa ha bisogno per superare finalmente quest’ultima difficile fase dell’unione politica.

Ancora un ultimo argomento: che l’Eurozona possa riuscire a parlare della crisi attuale con una sola voce non è una cosa certa, ma solo un debole barlume di speranza. L’Eurozona, però, non avrà davvero un’altra possibilità per esprimere una posizione comune sulla questione ucraina. Quello di cui abbiamo bisogno, quindi, è una “Convenzione dei Capi di Stato dell’Eurozona per la pace e l’indipendenza europea”, e dobbiamo convocarla in fretta! Resta un’ultima domanda: chi è che potrà richiedere questa “Convenzione”? Potrebbe essere la coppia franco-tedesca, ma abbiamo visto che, per ragioni che non sono mai state completamente chiarite, la sua capacità di leadership, al riguardo della crisi attuale, è stata completamente disinnescata.

7. Se questa “Convenzione” non può essere richiesta dagli Stati, può esserlo però da gruppi di pressione formati dai cittadini europei

Anche in questo caso, in realtà, non stiamo facendo che un test sulla vitalità di un principio dello stile europeo: spetta probabilmente ai cittadini europei, attraverso la creazione di un gruppo che rappresentati le organizzazioni della società civile, chiedere questa “Convenzione”, o addirittura convocarla essi stessi.

Ma la partita è ben lontana dall’essere vinta. L’apparato politico e democratico europeo, in effetti, si è notevolmente indebolito: i “colpi di stato” che ci son stati in Europa non preoccupano più nessuno (Renzi in Italia), i paesi possono vivere anche senza un Governo (senza per questo causare problemi, come in Belgio), giovani di 29 anni d’età sono stati nominati ministro degli Affari Esteri, senza che nessuno ci abbia visto qualcosa che non andava (Austria). I governi, inoltre, stanno deragliando al riguardo delle questioni dello “stato di diritto” – Spagna, Regno Unito, Ungheria… Alcuni paesi danno l’impressione che la politica nazionale possa ancora contare qualcosa, perché hanno un seggio negli organismi internazionali (Regno Unito, Francia, Germania), ma in realtà, invece di servire l’indipendenza dei propri paesi e i gruppi sovranazionali che dovrebbero rappresentare, occupando questi sedie non fanno che accettare la sudditanza verso il più forte.

Lo scollamento tra la politica (nazionale) e gli strumenti del potere (europeo) ha indebolito i nostri Governi per più di due decenni. Questi, una volta eletti, perdono tutto il sostegno popolare, perché non riescono ad attuare quei cambiamenti politici e sociali che, seppur richiesti dalla maggioranza, sono bloccati da minoranze ultra-attive (la Francia, naturalmente, ma non è il solo esempio). L’ultima crisi [quella ucraina, ndr], infine, ha ulteriormente indebolito a livello politico sia i governi nazionali che quello europeo.

In breve, è il momento di porre fine alla divisione politica dei paesi europei i cui Governi, separatamente, non servono ad alcuno scopo. È solo andando a completare l’obiettivo iniziale della costruzione europea, al cui riguardo si sono impegnati i grandi e lungimiranti politici europei del dopoguerra (vale a dire organizzando la loro unione politica), che i cittadini europei potranno prendere il controllo del loro destino.

8. Bloccare qualsiasi processo di allargamento dell’Eurozona, fino al raggiungimento della sua unità politica

E dobbiamo muoverci in fretta, perché non siamo gli unici ad aver identificato nell’Eurozona la base fondamentale per un’unione politica. Gli strateghi di Washington hanno compreso il potenziale costituito dall’Eurozona, per la transizione verso quell’unione politica che essi stessi, loro malgrado, hanno contribuito a rafforzare (attraverso gli attacchi contro l’Euro, come abbiamo già detto).

Attraverso un “colpo di stato” è stato posto sia Renzi a capo dell’Italia (Paese che costituisce una grande parte dell’Eurozona), che il Commissario Estone Siim Kallas a capo di un Governo non democratico e filo-americano (un amico dell’altrettanto filo-americano Barroso a cui, contrariamente a tutti i precedenti, è stato permesso di far campagna elettorale in suo favore). Egli sarà un leader servile alla causa di Washington, nutrito dal biberon di quest’Unione europea di cui ormai quasi più niente resta di europeo [palese il riferimento all’eterodirezione statunitense, ndr]. Anche la Francia, recentemente, sembra sia stata oggetto di enormi pressioni da parte di Washington, che stanno già dando i primi frutti. In breve, l’Eurozona sta cominciando a perdere qualsiasi capacità di poter costruire qualcosa.

È necessaria, a questo punto, una raccomandazione finale: bisogna bloccare qualsiasi allargamento dell’Eurozona fino a quando non ci sarà stata l’unione politica. L’allargamento dell’Ue ha servito la causa della de-politicizzazione del progetto europeo: cerchiamo di non ripetere consapevolmente gli stessi errori!

Una nuova boa per gli Stati Uniti, o un continente indipendente? Il futuro dell’Europa si giocherà nelle prossime settimane. Un mondo bipolare – il Nord contro il resto del mondo, bloccato dietro a una “cortina di ferro” – oppure un mondo multipolare in cui sia un’Europa indipendente che dei rigenerati Stati Uniti andranno a occupare i loro legittimi posti accanto a cinesi, brasiliani, africani, indiani e russi? È oggi che dobbiamo lottare per il migliore di questi due futuri. 

Tutte le opzioni sono ancora sul tavolo, all’occorrenza anche quella europea, ma fra pochi mesi l’uno o l’altro di questi due scenari avrà ottenuto un punto d’appoggio. Il 2020 è qui, adesso, in Europa!

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