La scena può essere considerata, a suo modo, storica. Vedere una madre disperata, che sale sul patibolo per perdonare l’assassino del figlio che sta per essere impiccato in piazza, non è cosa da tutti i giorni. Soprattutto in Iran. Il ragazzo viene liberato, quando ha già la corda al collo, seguendo la consuetudine del pagamento in denaro, che il padre devolve ad una scuola calcio iraniana. Ma la presenza delle telecamere, che immortalano un gesto isolato in un mare di oppressione e di sofferenze disumane, non può e non deve far dimenticare che di scene che finiscono diversamente, in Iran, se ne vedono centinaia al giorno.



Ai danni non solo di criminali incalliti, bensì anche di giovani e giovanissimi che penzolano da una forca magari per aver rubato una mela o infranto una delle “regole” che il regime di Teheran impone. E a cui è obbligatorio sottostare, per non finire male. Può dunque un’immagine come quella che abbiamo visto in questi giorni, e che sta riempiendo web e tv, farci distogliere lo sguardo dal male che gli iraniani debbono sopportare? Oppure dobbiamo riflettere ancora più a fondo su cosa sarebbe successo se quella donna non fosse salita sul patibolo e non avesse dato quello schiaffo “salvifico” a chi aveva ucciso suo figlio in una rissa? In Iran si muore ogni giorno, questo non si può e non si deve dimenticare mai. Anche di fronte ad un atto di estrema “pietas” come quello di cui parliamo e che non è la regola, bensì un’eccezione di cui avevamo dimenticato anche il significato.



Non possiamo continuare a ignorare il fatto che dalla dipartita di Ahmadinejad non è cambiato nulla, come non cambiò quando morì Khomeini e come non cambierà mai finché l’Iran sarà sotto il tallone di una mentalità estrema e integralista, capace di schiacciare ogni libertà e ogni pensiero; la morte, l’oppressione e la paura sono compagni costanti nella vita degli iraniani che vivono, grazie alla beata ignoranza del mondo circostante, imbavagliati fin nella mente e nello spirito. Una popolazione che non ha mai dimenticato la sua provenienza persiana, lo splendore di una cultura tra le più meravigliose dell’antichità e fra le più evolute, la cui grandiosità permeava tutto il quadrante mediorientale, fino all’arrivo delle ombre e del buio che storicamente ha avvolto tutta l’area. Dando vita alla polveriera che conosciamo.



Quella mamma non sa che l’Occidente ha visto e dopo un secondo ha cambiato canale, preso com’è nei suoi traffici con i paesi che dell’integralismo, dell’infamia globalizzata dell’estremismo, fanno uno strumento di scambio. Di potere contrattuale, sempre vincente. Tanto insuperabile, quando colorato del verde del soldi, da divenire tollerato anche nei paesi europei, che barattano risorse e denari con la libertà di donne, intellettuali e fasce più deboli.

Quando si va in una tv di Stato, come è capitato a me, e ci viene chiesto con premura di non parlare di musulmani e di pericolo estremismo in Italia, si capiscono molte cose. Se non disturbano gli estremisti che infibulano o segregano, figuriamoci se possono arrecare disturbo un migliaio di ragazzini impiccati a Teheran.

Se non disturba la volontà di una parte politica ben precisa di costruire per forza una moschea in una grande città italiana, non può certo disturbare il pensiero che in Iran il tasso di tossicodipendenza aumenti in maniera esponenziale, spinto a velocità folle dalla depressione dilagante fra i giovani. 

Del resto l’Europa ha una responsabilità clamorosa in tutto questo, identificabile nella libertà che venne concessa in Francia allo stesso Khomeini di guidare a distanza la rivoluzione del 1979, che portò all’Iran come lo conosciamo oggi. Dunque, di che stupirsi del silenzio di questi anni. Ci hanno provato anche con i paesi arabi, con la falsa primavera andata male e volevano farci credere che le cose sarebbero migliorate, quando si avviavano, in mano agli estremisti al potere, verso il baratro. 

La speranza, per l’Iran come per il Nordafrica, è dell’esplosione di un rinnovato illuminismo della libertà e dell’espressione del pensiero, della rinascita del sentimento di Averroè e della sua rivoluzionaria portata salvifica. Ma fino a quel momento sarà sempre buio, sarà sempre una madre che salva un giovane mentre nello stesso momento altri mille ne muoiono senza luci della ribalta che ne illuminino l’estremo sacrificio.