Il presidente siriano Bashar al-Assad ha scelto la ricorrenza simbolica della Pasqua per visitare la città cristiana di Maaloula riconquistata dalle forze governative la scorsa settimana. Una scelta dal doppio significato, in quanto da un lato l’obiettivo del dittatore era persuadere le minoranze cristiana, curda e alawita di essere in grado di proteggerle dai fondamentalisti islamici. Nello stesso tempo il fatto che Assad per la prima volta da molto tempo si sia mostrato pubblicamente a diversi chilometri dalla capitale Damasco ha reso evidente la sua confidenza nei successi militari del regime. La giornata di Pasqua in Medio Oriente è stata segnata anche dagli scontri sulla spianata delle moschee, il “sancta sanctorum” islamico nella città di Gerusalemme. Manifestanti palestinesi hanno lanciato pietre contro la polizia israeliana, dopo che ad alcuni turisti ebraici era stato consentito di entrare nella spianata. Abbiamo fatto il punto con Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale per il quale si è recato diverse volte sia a Maaloula sia in Palestina.



Partiamo dalla visita di Assad a Maaloula. E’ soltanto propaganda, oppure ciò ha un significato autentico per i cristiani siriani?

Le due cose vanno di pari passo. E’ sicuramente un’abile mossa di propaganda, legata anche al fatto che quest’anno Bashar Assad ha intenzione di ripresentarsi alle elezioni e di vincerle. I cristiani, una parte importante dell’elettorato, rischiano sempre di più di finire nel mirino delle formazioni qaediste che monopolizzano l’insurrezione. La visita ha dunque un valore altamente simbolico, perché Assad si ripropone come il difensore dei cristiani dagli attacchi dei fondamentalisti che proprio con Maaloula avevano lanciato una delle offensive più dure contro le minoranze cristiane. Ricordiamoci che la cittadina era stata occupata dai militari qaedisti lo scorso settembre.



Qual è invece il significato strategico e militare della visita di Assad?

La riconquista di Maaloula è uno dei successi che il governo sta registrando in queste ultime settimane nei confronti di un’opposizione che è sempre più lontana dalla popolazione siriana, da quegli ideali di democrazia e di libertà che erano stati attribuiti all’insurrezione siriana tre anni fa. E’ un’insurrezione prevalentemente fondamentalista monopolizzata dalle forze che si riconoscono in gruppi qaedisti come quelli dell’Esercito del Levante e di Al-Nusra, con un prevalere di forze esterne sponsorizzate dall’Arabia Saudita e dal Qatar. E’ quindi sempre più lontana dalle posizioni anche moderate che non si riconoscono nel regime. Assad sfrutta a suo vantaggio questa situazione per proporsi come il sostenitore delle minoranze, cristiana, alawita e curda, e come il nemico degli estremismi e del fondamentalismo.



Come valuta la posizione dei cristiani che sono costretti ad accettare Assad come il loro “protettore”?

Nel 2011 molti cristiani si erano illusi che potesse esistere un’alternativa non violenta e che si potesse arrivare a un cambio di regime o a delle riforme all’interno del regime. Anche se ciò che voleva la maggioranza dei cristiani non era la caduta di Assad, bensì maggior democrazia all’interno di quel regime che negli anni ha sempre garantito i loro diritti. Alcuni dei cristiani inizialmente hanno partecipato alle manifestazioni, ma la gran parte di loro ben presto si è resa conto che le proteste erano monopolizzate da gruppi violenti legati al radicalismo, che non erano sicuramente interessati alla democrazia. Anche i cristiani che non appoggiavano Assad, hanno comunque deciso che il presidente era il male minore.

 

Passiamo alla Palestina, dove si sono verificati degli scontri sulla spianata delle moschee. Qual è il significato di questi incidenti?

Ci sono gruppi fondamentalisti all’interno della stessa opinione pubblica ebraica, i quali vorrebbero ricostruire un tempio al posto dell’attuale moschea di Al-Aqsa. Questa posizione fortemente minoritaria è utilizzata da entrambe le parti per la loro propaganda.

 

In che modo?

La presenza di frange ebraiche estremiste è strumentalizzato dai palestinesi per sostenere che Israele vorrebbe sottrarre loro la moschea, così da aumentare il livello dello scontro. Nella realtà però qualsiasi governo che abbia buonsenso si guarderà sempre dal permettere che sia cancellata la moschea di Al-Aqsa e costruito un nuovo tempio, creando i presupposti per uno scontro che andrebbe al di là dei confini della stessa Palestina.

 

(Pietro Vernizzi)