Da che parte cominciamo? Magari dal fatto che nel giro di neanche una settimana l’America si e’ esibita in uno di quei suoi testacoda che sembrano fatti apposta per ricordare a tutti che qui, dove tutto è grande, lo sono anche le contraddizioni. Che qui tutto e’ ancora in continua ebollizione, e che “l’adolescente America” continua a cercare il suo volto tra inciampamenti e passi falsi. Pochi giorni fa la Corte Suprema ci ha detto che quando si tratta di iscriversi all’Università la razza non c’entra. Appartenere ad una “minority” non è motivo adeguato per ricevere facilitazioni. 



Questo significa – per voi che magari non lo sapevate – che fino a ieri queste facilitazioni esistevano. Ad esempio, appartenendo ad una minoranza sarei riuscito ad entrare in una certa scuola anche con un esame d’ammissione meno brillante di quello di un “uomo bianco”. Giusto? Oggi invece è tutto un gran parlare di Donald Sterling, ottantenne proprietario dei Los Angeles Clippers, che avrebbe palesato il suo fastidio verso i neri intrattenendo conversazioni telefoniche con una amichetta.



Donald Sterling si lamentava del fatto che la donna avesse postato su Instagram immagini che la ritraevano con Magic Johnson, ed in generale, che frequentasse troppo persone di colore. A parte il fatto che personalmente mi sembra assai più discutibile che una trentenne se la faccia con un ottantenne, la cosa curiosa è che salta fuori la registrazione dopo che la moglie del padrone dei Clippers denuncia la donna per aver turlupinato il marito. Insomma, la storia non è molto “giusta” in sé, ma mi sembra che siamo andati un momentino fuori misura.

Ovviamente non conosco Sterling, ma mi par di capire che ha avuto intelligenza nel portare avanti il suo business, al punto di diventare un super-milionario e comprarsi, oltre a varie donne, anche una squadra di pallacanestro. Mi pare anche di capire che su svariati altri fronti la sua intelligenza faccia acqua. E per quanto riguarda i rimarchi razzisti, Sterling dimostra di essere quel che è: una persona di ottanta anni che guarda alla questione razziale più o meno come la si guardava quando è nato lui. Disgustoso, certo. Ma non la potevamo finire qui? Calze e polsini neri su tutti i campi di basket, Clippers con le magliette rivoltate per oscurare il nome della squadra, appelli e contrappelli ad agire subito, energicamente e senza far sconti…



Già correvamo il rischio della nomina di Jason Collins a “NBA player of the year” perché è nero (e si vede), gay (e l’ha detto), anche se non ci piglia in un palazzo e pertanto gioca due minuti a partita. L’America si porta ancora addosso i frutti di quella impressionante “immigrazione forzata” che trascinò qui dall’Africa qualcosa tra gli 8 ed i 10 milioni di esseri umani. 

I torti commessi e le ingiustizie perpetrate pesano sulla coscienza civile del paese. Passati i tempi in cui i Pastori protestanti si arrampicavano sugli specchi dei loro sermoni per giustificare la schiavitù, passati gli ultimi, terribili, fuochi razzisti degli anni 60, è subentrato il bisogno di imporre a tappeto un’overdose di uguaglianza: niente più distinzioni tra bianchi e neri, uomini e donne, omo ed eterosessuali, qualsiasi tipo di “diverso”… tutti uguali, con qualcuno più uguale degli altri per rimediare agli errori del passato.

Le “quote universitarie obbligate” per le minoranze etniche appartengono a questo filone. Esattamente come 12 Years a Slave. “Miglior film dell’anno”, vincente perché, come aveva detto Ellen Generes, “sennò siamo tutti razzisti”. Sarà anche un bel film, realistico e storicamente fondato, ma certamente e’ una vendetta, una punizione dell’uomo bianco, che l’uomo bianco accetta e porta in trionfo per vergogna, perché altrimenti saremmo ancora tutti razzisti. 

Lo stesso mi pare stia accadendo oggi con il caso Sterling. È buffa la NBA, è un circo fatto di neri con proprietari bianchi. Una volta non c’erano giocatori neri, adesso scarseggiano i bianchi. E anche il numero degli allenatori di colore è in aumento. Presto arriveranno anche i proprietari, perché no? Ma per favore, cerchiamo di non essere cosi demagogici, sennò ci mettiamo a denunciare chi ha fatto “White men can’t jump” perché è razzista pure quello, offende la razza bianca.

O qualcuno per vendicarsi cercherà di registrare le conversazioni telefoniche di Spike Lee – e quello gli uomini bianchi se li mangerebbe crudi. La razza? Ma conta veramente qualcosa? 

Questo tempo di Pasqua è illuminato da un sacrificio che porta il trionfo della vita a bussare alla porta del cuore di ogni uomo. Di “ogni uomo”, per quanto “diverso” possa essere. Perchè “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.”

E’ l’unica possibile vittoria contro il razzismo.