Sono sei i candidati pronti a sfidarsi per le elezioni presidenziali del 26 e 27 maggio in Egitto. In pole-position c’è il generale Abdel Fattah El-Sisi, ex ministro della Difesa nel governo del presidente ad interim Adly Mansour e vero uomo forte che decise l’estromissione dal potere dell’ex presidente Mohamed Morsi nel luglio 2013. Si presenta per la seconda volta Hamdin Sabbahi, candidato liberale fautore dei pieni diritti dei cristiani e delle donne. In lizza ci sono anche Mortada Mansour, avvocato 62enne legato a Hosni Mubarak, Seif El-Amir, copto e consigliere di arbitrato internazionale, Mahmoud Hossam, leader del partito El-Bedaya, e Sabri Abdel Aziz, imprenditore petrolifero. L’inviato de il Giornale, Gian Micalessin, spiega però che nella realtà “la competizione per le presidenziali in Egitto è già stata decisa e non certo dagli egiziani. La disorganizzazione dei partiti laici e il pieno appoggio dell’Arabia Saudita al generale El-Sisi saranno gli elementi decisivi di questa campagna elettorale”.
Micalessin, come vede la competizione tra questi sei candidati per il ruolo di nuovo presidente dell’Egitto?
L’esito del voto sarà scontato e il grande vincitore sarà il generale El-Sisi. L’ex ministro della Difesa conta sull’appoggio dell’Arabia Saudita e dell’Esercito ed è stato il vero “Deus ex Machina” del golpe contro Morsi e della repressione dei Fratelli musulmani. C’è quindi un solo candidato favorito, El-Sisi, e gli altri sono pura coreografia. Il generale El-Sisi è un esecutore di ordini che provengono sostanzialmente dall’Arabia Saudita.
Perché El-Sisi può contare sull’appoggio dell’Arabia Saudita?
Questo appoggio rientra nell’orbita dello scontro intestino nella componente sunnita in Medio Oriente, che vede contrapposti Arabia Saudita e Qatar. Le primavere arabe sono state caratterizzate dal tentativo del Qatar di assumere l’egemonia all’interno della componente sunnita appoggiandosi ai Fratelli musulmani. Il tentativo del Qatar è fallito anche in quanto l’Arabia Saudita è intervenuta pesantemente. In particolare nel Paese chiave per il controllo del Medio Oriente, cioè l’Egitto, Riyad ha sostenuto El-Sisi e ha di fatto messo ai margini i Fratelli musulmani. Questi ultimi sono stati incriminati e messi in carcere nel corso di una repressione così pesante quale non la si ricordava dai tempi di Nasser.
Oltre a godere del sostegno saudita, chi rappresenta il generale El-Sisi all’interno dell’Egitto?
Il generale El-Sisi rappresenta innanzitutto l’Esercito, che non sono soltanto una struttura militare nel senso classico del termine ma una realtà molto più ampia. L’Esercito controlla circa il 40% dell’industria nazionale, produce acqua minerale, pane, saponette e carri armati. In questi anni le forze armate sono state destinatarie degli aiuti americani, ma soprattutto sono al di fuori di qualsiasi controllo istituzionale. Ricordiamo che il loro budget non è sottoposto a controllo da parte del governo. L’Esercito è quindi il vero Stato nello Stato, una potenza-ombra in grado di controllare l’intero Paese.
Quali altre potenze internazionali sostengono El-Sisi?
Per spiegare qual è la collocazione internazionale di El-Sisi, occorre comprendere che l’Arabia Saudita che lo sostiene si trova da alcuni anni in rottura con gli Stati Uniti di Obama. Il Re Abdallah nel gennaio 2011 dichiarò che non condivideva assolutamente la scelta di Obama di lasciare cadere Mubarak. Alla vigilia delle dimissioni del Rais, c’era stato un durissimo colloquio telefonico nel corso del quale Re Abdallah aveva chiaramente preso posizione contro Obama. A sostenere El-Sisi ci sono anche l’Iran e la Russia di Putin. Quest’ultima in particolare vede in questa rottura tra l’Egitto di El-Sisi e gli Stati Uniti la possibilità di un ritorno in Medio Oriente. Un ritorno che si concretizza in un ruolo di primo piano giocato in Siria, dove si prospetta una vittoria di Bashar Assad sostenuto da Mosca. Ora anche in Egitto la Russia potrebbe prendere il posto degli Stati Uniti, vendendo a El-Sisi le armi che Washington oggi si rifiuta di dargli.
Come si collocano invece gli altri candidati, Hamdin Sabahi e Mortada Mansour?
Mansour in Occidente è un perfetto sconosciuto. Sabahi invece è un perdente in partenza, come lo sono stati tutti i cosiddetti laici che pure sono stati interpretati dall’Occidente come i possibili vincitori della rivoluzione di piazza Tahrir. Sono segmenti di fatto marginali, si tratta di piccole forze disorganizzate, non sono mai in grado di esprimere un leader comune. In occasione della Rivoluzione contro Mubarak i giovani di piazza Tahrir sono stati soltanto lo strumento dei Fratelli musulmani. Lo documenta il fatto che in tutte le successive competizioni elettorali i laici non sono mai riusciti a presentarsi e posizionarsi in modo efficace, e anche stavolta sono destinati al fallimento.
(Pietro Vernizzi)