Contatti illegali con gruppi religiosi il cui scopo è rovesciare il legittimo governo. Con questa accusa cento abitanti di Pyongyang, capitale della Corea del nord, sono stati arrestati nei giorni scorsi. Le persone fermate sono accusate di essersi recate all’estero appositamente per incontrare esponenti religiosi con cui organizzare atti illegali. Si tratta ovviamente di accuse del tutto infondate, fonti autorevoli provenienti dal paese spiegano che si tratta di una ondata di repressione con l’unico scopo di mantenere alto il livello di terrore nella popolazione soprattutto in coloro che in qualche modo mostrano interesse alla religione, per il dittatore Kim Jong-un un nemico da combattere senza sosta. Già negli scorsi mesi trenta persone erano state condannate ai lavori forzati sempre per motivi religiosi. Le persone arrestate si erano recate in Cina in momenti diversi, qui secondo le autorità coreane avrebbero preso contatti con rappresentanti di chiese protestanti che aiutano i rifugiati nordcoreani. La legge coreana permette la libertà religiosa ma proibisce ogni contatto con appartenenti a gruppi religiosi stranieri. Ovviamente la libertà religiosa nella Corea del nord non esiste nel modo più assoluto. Nel paese dal 1953 sono scomparsi otre 300mila cristiani e non c’è nessun prete o suora. 



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