Si susseguono i richiami isterici di alcuni leader europei – tra i quali spiccano le voci di due “cadaveri” politici, il presidente francese Hollande e l’alto commissario Ue Ashton – sulla presunta “illegalità” del referendum tenutosi pacificamente domenica 11 maggio nelle regioni ucraine Lugansk e Donetsk. In queste due regioni vivono circa 6,8 milioni di persone (sui circa 45 milioni dell’intera Ucraina). La domanda posta ai cittadini dalle legittime autorità regionali è stata la seguente: “Sostenete la decisione legislativa per l’auto-governo della regione?”. Nessuna separazione e nessun riferimento ad aderire alla federazione Russa. Dov’è l’illegalità? Solo una trentina di osservatori internazionali hanno assistito alle operazioni di voto – dei 470 giornalisti accreditati e degli altri osservatori non si è vista traccia – che hanno portato alle urne circa il 70% degli aventi diritto e che secondo gli exit poll daranno più del 90% al sì.



La Russia, il 7 marzo per bocca dello stesso presidente Putin aveva chiesto alle forze pro-federazione ucraina di posporre il referendum. Nonostante ciò le forze aeree militari del nuovo governo ucraino hanno rischiato di provocare un grave incidente militare e diplomatico con la Russia. Il 10 maggio il vice primo ministro russo Dmitry Rogozin era in volo da Chisnau, la capitale della Moldova, verso la Russia, quando un Mig ucraino lo ha obbligato a fare rientro alla base di partenza. Simultaneamente, la Romania, sostenuta dalla Nato, ha dichiarato il suo spazio aereo non aperto a quel volo. La scusa addotta era il rispetto delle sanzioni che l’Ue ha imposto alla Russia (2014/145/CFSP del 17 marzo 2014). Dopo varie trattative, Rogozin ha deciso di infischiarsene dei divieti Ue/Nato ed è rientrato comunque in Russia. L’incidente non c’è stato, ma le sue tracce restano. Ironia della sorte è che Rogozin è stato ambasciatore russo presso la Nato dal gennaio 2008 al dicembre 2011, proprio quando la Nato corteggiava la Russia in nome del famoso “reset” voluto da Hillary Clinton.



Intanto, la Germania della cancelliera Merkel sta indicando un certo non velato fastidio rispetto alle decisioni e le interferenze degli Usa negli affari del vicinato tedesco, Polonia e Ucraina. Il noto tabloid tedesco Bild, che è pro-governativo e pro-atlantico ed è letto da più di 7 milioni di persone, ha denunciato la presenza di circa 400 operativi della Cia e del Fbi a Kiev per dirigere le operazioni del locale governo in materia di sicurezza nazionale e antiterrorismo. L’11 maggio lo stesso Bild ha pubblicato un articolo con due “leak” molto rilevanti: la conferma fornita dai servizi segreti tedeschi (Bnd) della presenza di 400 uomini mercenari della società Academi (che era tristemente nota come Blackwater per i trattamenti inumani nelle prigioni in Iraq e Afghanistan) per “operazioni anti guerriglia nell’Est dell’Ucraina”; ancora, il tedesco Bnd, ripreso da Die Welt, ha fatto sapere che i servizi segreti Usa (Nsa) le hanno comunicato che “piloti russi hanno ricevuto l’ordine di violare lo spazio aereo ucraino”.



Quest’ultima notizia conferma proprio quanto dicevamo a proposito dell’aereo del vice primo ministro russo Dmitry Rogozin. Inoltre, la presenza in Ucraina di questi ben noti “mercenari Usa” spiegherebbe ciò che ha causato l’orrendo massacro incendiario di Odessa. Quel che sembra chiaro è che la cancelliera Merkel inizia a contrastare gli Usa nella follia anti-russa. Questo non deve sorprendere, visto che nel gennaio 2014 si è tenuta a Monaco di Baviera la 50sima Conferenza Internazionale per la Sicurezza, nella quale il presidente federale della Germania, Joachim Gauck, ha pronunciato un importante discorso nel quale annunciava il “ritorno della Germania”.

Sebbene si debba ancora aspettare di vedere se queste mosse preliminari si tradurranno anche in azione politica da parte del governo tedesco, quel che emerge è un’Ue in frantumi. La Francia di Hollande cerca di esistere sparando nell’aria. La Germania cerca di smarcarsi dagli Usa, mettendo una chiara ipoteca sulla nomina di successione all’attuale involontario alto commissario Ue, Catherine Ashton. L’Italia è invisibile e restano ignote le sue iniziative e attività di politica estera, fatta eccezione per le evanescenti dichiarazioni del ministro Mogherini in allineamento agli Usa o a favore della liberazione delle ragazze nigeriane rapite. Il Regno Unito tace in attesa di sapere il proprio destino interno chiuso tra l’annunciata vincita elettorale del partito Ukip che chiede l’uscita dall’Ue, l’esito del prossimo referendum di indipendenza della Scozia e l’imbarazzante presenza a Londra di qualche centinaio di miliardari stranieri – anche russi e ucraini – che insieme hanno una fortuna di più di 150 miliardi di euro. Quanto all’Ue si respira la paralisi totale in attesa del voto del 25 maggio. Una paralisi invereconda, visto che il 25 maggio si svolgeranno sia le elezioni europee che quelle presidenziali in Ucraina.

È molto probabile che le elezioni ucraine porteranno a una guerra civile violentissima tra chi vuole un governo di Kiev per tutti gli ucraini e chi invece vuole, senza remore e timori, una Ucraina federale. Che cosa faranno le decotte istituzioni europee e la Nato? Per ora sappiamo che la Nato sta conducendo notevoli “esercitazioni” militari in Polonia e nei tre stati baltici. Infine, saprà la Germania essere un costruttore di pace nel vicinato orientale e meridionale dell’Ue?

Il 2 maggio scorso sul Wall Street Journal un editoriale a firma di Hans Werner Sinn, presidente dell’Istituto di Ricerca Economica (Ifo), chiariva che “si deve tenere a mente che l’attuale crisi in Ucraina è stata causata dall’Occidente […]. Dopo il massacro di forze russe avvenuto nella Seconda guerra mondiale, la Germania ha potuto beneficiare di un lungo periodo pacifico e grazie alla Russia ha potuto compiere la propria riunificazione. Per questa ragione incombe alla Germania la responsabilità di ridurre il conflitto con la Russia”. 

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