Un leader separatista ucraino ha invitato la Russia ad “assorbire” la regione orientale di Donetsk dopo il referendum separatista di domenica. Denis Pushilin, autoproclamatosi leader della Repubblica Popolare di Donetsk, ha invitato Mosca ad ascoltare il “volere del popolo”. Nella vicina Luhansk, dove si è tenuto il voto, i ribelli hanno dichiarato l’indipendenza. Ucraina, Unione Europea e Stati Uniti hanno dichiarato che il referendum è illegale, mentre la Russia ha affermato che i risultati dovrebbero essere “implementati”. Mosca finora non ha commentato l’invito di Donetsk a diventare parte della Russia, ma ha rivolto un appello al dialogo tra i militanti e Kiev, con la partecipazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Abbiamo intervistato Bohdan Dzyurakh, vescovo ausiliare di Kiev.



Eccellenza, è possibile mantenere l’unità del Paese? Una qualche formula federale può essere una strada?

La diversità delle confessioni, delle etnie e delle culture costituisce una ricchezza del Paese e non uno svantaggio, ancor meno un pericolo. Questa ricchezza deve essere apprezzata, promossa e difesa e non usata con lo scopo di contrapporre i gruppi o dividere i territori. Ma per un cuore perverso, anche una sola differenza può servire come motivo del crimine. Questo ci dimostra già la storia biblica di Caino e Abele… Per quanto riguarda la federalizzazione, dobbiamo ricordare che l’Ucraina non è un Paese frammentato, è un Paese unitario, che sfortunatamente durante la sua lunga storia è stato diviso tra diverse potenze, ma che ha sempre aspirato a ristabilire l’unità dentro uno Stato unificato. E’ molto significativo il fatto che durante il riferendum del 1991 il 91% della popolazione in tutte le regioni del Paese ha votato per l’indipendenza dall’Unione Sovietica. La “retorica federalista”, usata adesso sia dal Cremlino che dai partiti filorussi in Ucraina, è stata introdotta dal partito di Yanukovic e sfruttata durante la “Rivoluzione arancione” del 2004. Se attuata secondo lo schema dei separatisti, essa condurrebbe allo smembramento del Paese e alla cancellazione dello Stato ucraino. 



Le principali differenze paiono esistere tra chi parla ucraino e chi parla russo. E’ una semplice questione di autonomia linguistica o veramente la maggioranza dei russofoni non si sente appartenente all’Ucraina ma alla Russia?

Nonostante le differenze linguistiche, i cittadini nel referendum sopra menzionato hanno voluto vivere in un Paese ucraino unito. La lingua non costituisce in nessun modo il problema sociale del Paese. Secondo recenti indagini, solo per il 6% degli abitanti dell’Est del Paese la questione della lingua sembra importante. L’argomento linguistico viene tirato fuori dalla propaganda russa per giustificare le ingerenze del Cremlino negli affari interni dell’Ucraina, oppure dai politici filorussi durante la campagna elettorale. La gente parla liberamente la lingua materna, e alla lingua russa come ad altre lingue minoritarie è stato assicurato lo status di lingua “regionale” per garantirne l’uso anche a livello ufficiale. Sulla piazza di Majdan si sentivano diverse lingue, ma era un solo spirito: quello della libertà e della dignità umana e nazionale.



Nella società quindi la divisione non è segnata dalla lingua.

No. E’ segnata dalla visione dello sviluppo futuro del Paese. Nella quotidianità questa divisione si manifesta nell’abisso esistente tra il piccolo gruppo degli oligarchi e dei politici corrotti e la maggioranza del popolo ridotto al limite dell’esistenza, costretto ad emigrare alla ricerca dei mezzi di sopravivenza, umiliato nella sua dignità e derubato della prospettiva di miglioramento. Proprio contro questa politica disumana il popolo si è espresso durante il cosiddetto “Euromajdan”. E dopo la fuga del ex-Presidente Yanukovic, quando si sperava in una svolta nello sviluppo del Paese, abbiamo ricevuto il colpo alle spalle da parte della Federazione Russa con la scusa della “difesa dei diritti dei cittadini russi e russofoni dell’Ucraina”. Come per ironia hanno comminciato questa “difesa” dalla penisola della Crimea, dove tra 587 scuole esistenti solo 7 sono di lingua ucraina, tutte le altre usano nell’insegnamento la lingua russa. A proposito, nella Federazione Russa, dove abitano circa 7 milioni di Ucraini, non esiste nessuna (!) scuola con insegnamento in lingua ucraina… Ma sembra che questo non preoccupi i padroni di Cremlino, né i responsabili politici nella Europa occidentale.

 

Come vede i possibili sviluppi dell’attuale situazione e quale il ruolo che possono esercitare le Chiese?

La situazione rimane molto instabile ed esplosiva. Praticamente viviamo sotto la minaccia di una guerra, provocata dal Cremlino, che può portare imprevedibili e tragiche conseguenze per tutto il continente europeo. Già adesso sul territorio ucraino sono apparsi centinaia di terroristi che uccidono i civili, occupano gli edifici pubblici, provocano il caos e i disordini in diverse parti dell’Ucraina orientale, soprattutto nelle regioni di Donetsk e di Lugansk. Si dichiarano “protestatori pacifici”, in realtà dispongono invece di armi e preparazione professionale, fino ad essere in grado di abbattere elicotteri. Ci sono anche prove che questi gruppi ricevono gli ordini e vengono coordinati dal Cremlino. Tutto è orientato verso la più grande destabilizzazione possibile per impedire lo svolgimento delle elezioni presidenziali fissate per il prossimo 25 maggio.

 

Voi cosa pensate di fare?

In queste circostanze, la nostra Chiesa ha rinnovato l’appello alla preghiera continua per la pace e per elezioni “libere e giuste”. Inoltre, in una lettera pastorale diffusa pochi giorni fa, si invitano i cittadini a partecipare alle elezioni presidenziali e a scegliere il futuro dell’Ucraina facendosi guidare dai valori dell’onestà, della trasparenza e della responsabilità. Di fronte all’estero vogliamo essere i testimoni della verità su ciò che succede in Ucraina, perché assistiamo a una esplosione di propaganda antiucraina, che il nostro vicino diffonde non solo al suo interno, ma anche in tutto il mondo….

 

Continui, eccellenza.

Mi vengono alla mente le parole dell’ ormai Santo Giovanni Paolo II, il quale osservava, ricordando la tragedia della seconda guerra mondiale: “Durante la seconda guerra mondiale, oltre che alle armi convenzionali e a quelle chimiche, biologiche e nucleari, s’è fatto ampiamente ricorso ad un altro micidiale strumento bellico: la propaganda. Prima di colpire l’avversario con i mezzi della distruzione fisica, si è cercato di annientarlo moralmente con la denigrazione, le false accuse, l’orientamento dell’opinione pubblica verso la più irrazionale intolleranza, mediante ogni forma di indottrinamento, specialmente nei confronti dei giovani”.

Purtroppo, devo constatare che, nel caso dell’ attuale aggressione russa, la storia si ripete in modo drammatico. E’ una cosa davvero triste, che nel ventunesimo secolo si approvi all’unanimità nel Parlamento russo l’invasione militare del territorio ucraino. Ovviamente, è un sintomo molto triste e deprimente soprattutto per quel Paese stesso, perché è un segno della profonda decadenza morale.

 

Qual è il suo giudizio sulle modalità di intervento dell’Unione Europea e degli Stati Uniti? Cosa suggerisce perché questi interventi siano realmente in favore del popolo ucraino, della sua unità e della sua indipendenza?

 Siamo molto grati e riconoscenti a tutti quelli che all’estero si impegnano per la pace e per il mantenimento dell’indipendenza e dell’integrità dello Stato ucraino. Appoggiare l’Ucraina significa oggi contribuire al ristabilmento dell’ordine della sicurezza a livello internazionale. Per questo motivo ciò che succede in Ucraina riguarda ogni Paese, sopratutto quelli europei. Nell’anno che ricorda l’inizio della prima guerra mondiale e alla vigilia del 70esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, non si può permettere la distruzione della sicurezza, conquistata e oggi difesa con tanti sacrifici dai popoli europei, incluso quello ucraino, il quale senza volerle né provocarle ha dovuto sopportare ambedue le tragedie mondiali. Fino a che non sarà fermata l’aggressione russa sul territorio ucraino e non saranno ritirate le enormi forze armate russe raccolte alla frontiera ucraina, non si può dire che le misure intraprese abbiano raggiunto lo scopo desiderato. Qui in Ucraina spesso si parla della debolezza e della mancanza di risolutezza della comunità internazionale. Si perde tanto tempo per esprimere una “profonda inquietudine e preoccupazione” e poì non si fanno passi ulteriori concreti e indirizzati contro i personaggi direttamente colpevoli di questa crisi. Non si deve neppure offrire una tribuna alla propaganda dell’odio e alla diffusione delle bugie sulla situazione in Ucraina. Non dobbiamo dimenticare che la guerra dell’informazione fa parte della guerra calda e di solito la precede. La guerra non comincia con il primo colpo sparato sul campo di battaglia, ma con il virus della bugia e dell’aggressione che invade il cuore umano. Fermare l’aggressore oggi vuol dire salvare l’anima stessa dell’Europa per le generazioni future.

 

La fede può essere un fattore di unità tra Ucraina e Russia? Ci può citare dei casi concreti?

Lo è gia adesso, se parliamo dell’unità spirituale in quanto discepoli di Cristo che confessano la stessa fede. Tuttavia, non si possono accettare i tentativi di sfruttare la religione per scopi politici, come fanno addetti e predicatori del “mondo russo”, un concetto che viene percepito in Ucraina come progetto di ricostruzione dell’impero russo sotto il paravento della retorica religiosa. A proposito, Sua Beatitudine Sviatoslav (Shevchuk) in una delle sue prime interviste in qualità di Guida della nostra Chiesa ha fatto la seguente osservazione: “Agli italiani non passerà mai per la testa una idea di costruire oggi un “mondo romano” e convincere i francesi o gli spagnoli, dicendo che devono per forza appartenere a questo “mondo” perchè latini e perché condividono la stessa fede”. Oggi come mai sarebbe più auspicabile che le voci delle Chiese fossero unite per diffendere i deboli e promuovere con ogni mezzo pacifico la pace e la sicurezza della comune casa europea. Il Santo Padre Francesco, che è già intervenuto cinque volte sulla crisi ucraina, ne dà un esempio chiaro e commovente.

 

Può descriverci brevemente qual è la situazione della Chiesa greco cattolica in Ucraina? Quali ordini religiosi, oltre il suo, i Redentoristi, sono presenti nel Paese? Quali sono le principali attività in cui siete impegnati e in quali aree del Paese in particolare?

La Chiesa Greco-Cattolica Ucraina (CGCU) è la Chiesa sui iuris del rito orientale che mantiene la communione con Roma. E’ composta da 32 enti ecclesiali (Metropolie, Eparchie, Esarcati) che si trovano in Ucraina e in altri Paesi del mondo. Alla Chiesa appartengono circa 6 milioni di fedeli, dei quali 4,5 milioni sono cittadini ucraini (circa 10% della popolazione). Oggi in Ucraina ci sono oltre 3700 parrocchie greco-cattoliche, 2600 sacerdoti, 11 Ordini religiosi maschili e 21 femminili. Le strutture della CGCU sono presenti in tutto il Paese, sebbene la maggior parte sia concentrata nell’Ucraina occidentale, dove la Chiesa ha potuto svolgere la sua missione fino all’occupazione russa del 1945. Messa fuori legge e severamente perseguitata dal regime sovietico, la CGCU ha potuto sopravivere nella clandestinità e, dopo il crollo dell’impero sovietico, gode di una autorità morale notevole, dovuta soprattutto al fatto di non aver collaborato con le autorità statali sovietiche e aver mantenuto la libertà interiore, nonché l’attività pastorale a favore del rinnovamento della società ucraina.

 

Che rapporti esistono con le altre confessioni, in particolare con le Chiese ortodosse, sia con il Patriarcato di Kiev che quello di Mosca? Il Majdan è stato un’occasione di consolidamento di questi rapporti, non solo a livello di clero ma anche di fedeli?

Alle Chiese ortodosse ci unisce la stessa storia e la stessa eredità cristiana, che conserviamo nelle nostre comunità da oltre mille anni. Nonostante la divisione confessionale, si è stabilita e svilupata nella Ucraina indipendente una collaborazione costruttiva tra le Chiese, soprattutto nel quadro del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle comunità religiose. Questo organismo, composto da tutte le principali comunità religiose, rappresenta il 95% dei credenti del Paese. Il Consiglio prende regolarmente una posizione comune nelle diverse questioni socio-politiche e interviene anche a livello legislativo con proposte e iniziative dirette al rinnovamento morale della società. Inoltre, manteniamo relazioni bilaterali sia con la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Kiev che con quella unita a Mosca. Si tratta della collaborazione nelle questioni sociali, nella difesa dei deboli, poveri ed emarginati. In questo senso tutte le Chiese si sono messe al fianco dei manifestanti durante le proteste del Majdan, perché in questo movimento popolare hanno riconosciuto il soffio dello Spirito, che chiama il popolo al rinnovamento interiore. In Piazza dell’Indipendenza (Majdan) le differenze confessionali hanno ceduto il passo alla forza dello Spirito.

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