Il caso dei due fanti di Marina italiani trattenuti in India, in attesa di processo nel quadro di una vicenda tutt’altro che chiara, sta richiamando in Italia un’attenzione insolita verso le elezioni politiche indiane. Un’attenzione che meriterebbe comunque di non essere episodica, tenuto dell’importanza di quel grande Paese, che con il suo miliardo e 300 milioni circa di abitanti è tra l’altro la più popolosa democrazia del mondo. Un Paese che per l’Italia sarebbe in Asia tanto un partner economico più promettente quanto un interlocutore culturale più vicino e interessante della Cina.

Il governo uscente fa capo al Partito del Congresso il cui leader, Sonia Gandhi, è come noto di origine italiana. Con riguardo al caso dei nostri due fanti di Marina (marò) ovviamente tale circostanza non ci è stata affatto di aiuto: proprio perché di origine italiana, Sonia Gandhi non può prendere alcuna iniziativa per risolvere positivamente il caso senza prestare il fianco a larvate accuse di tradimento della sua patria di adozione.

Mentre scriviamo, lo spoglio delle schede non è ancora iniziato; gli unici elementi di giudizio di cui si dispone sono quelli deducibili dagli exit polls divenuti di pubblico dominio lunedì scorso. Diversamente però dalla stampa italiana, che martedì si è precipitata ad annunciare il trionfo elettorale del Bjp, il partito nazionalista indù guidato da Narendra Modi, gli osservatori internazionali più accreditati e gli stessi quotidiani indiani più autorevoli esitano a trarne conclusioni perentorie. E’ vero che cinque su sei dei sondaggi pubblicati danno il Bjp come vincitore (non però con ampio margine ma solo per poco), ma l’esperienza passata insegna che particolarmente in India gli exit pools sono poco attendibili; e in precedenti occasioni hanno dato esiti che sottostimavano i consensi raccolti del Partito del Congresso di Sonia Gandhi. Ciò innanzitutto anche se non solo perché, in un Paese la cui popolazione vive per il 70 per cento nei villaggi, per risparmiare sulle spese essi vengono ciononostante effettuati quasi soltanto nelle città.

Prima dunque di tirare conclusioni definitive è meglio attendere il conteggio dei voti, che è appunto iniziato oggi. Sono in palio i 543 seggi della Camera bassa: gli exit polls ne danno un minimo di 249 a Bjp, che peraltro è un’alleanza di 28 partiti locali; e invece non più di 85 al Partito del Congresso. 

Ferma restando ogni possibile imprecisione di questi pronostici, si può ragionevolmente concludere che, allo stato attuale delle cose, il Partito del Congresso ha perso ma il Bjp non ha vinto. Non ha infatti la maggioranza assoluta, e se ciò fosse confermato si troverà nella necessità di cercare alleati: una prospettiva particolarmente difficile per un partito che, essendo in effetti, come si diceva, una federazione di varie forze per di più abbastanza eterogenee, in un caso del genere diventa particolarmente vulnerabile a spinte centrifughe. Non si possono quindi nemmeno escludere, anche se al momento sono molto improbabili, dei ribaltamenti di alleanze con esiti clamorosi. 

Erede dell’opera di Gandhi, il padre dell’indipendenza indiana, il Partito del Congresso è una forza la cui cultura politica è prossima a quella dei partiti socialisti europei non marxisti del secolo XX. La cultura politica del Bjp fa invece riferimento a una visione tendenzialmente chiusa dell’identità indù che è di una pericolosità evidente in un Paese dove comunque, pur essendo la maggioranza, gli indù sono poco più dell’80 per cento. Seguono con quasi il 12 per cento i musulmani e poi altre minoranze esigue, tra cui l’1,1 per cento di cristiani cattolici e altrettanto di cristiani protestanti. Si tenga però conto che, in un Paese che ha la popolazione dell’India, anche minoranze relativamente minuscole consistono di milioni di persone.

L’esito definitivo delle elezioni si conoscerà tra alcuni giorni; e varrà la pena di seguirne attentamente le conseguenze. Sin d’ora però possiamo dire che è meglio non lasciarsi andare in quattro e quattr’otto a conclusioni perentorie. Per ovvi motivi il Partito del Congresso in Occidente piace di più, ma restando al caso dei due marò ribadiamo che il fatto che abbia un leader di origine italiana per noi non è un vantaggio ma anzi un grosso handicap. Anche per questo si sarebbe dovuto puntare subito a una mediazione internazionale e non alla trattativa diretta con il governo indiano: una scelta che non è stata altro che l’ultimo anello di una catena di errori clamorosi iniziata con l’inconsulta decisione di mandare a consegnarsi alla polizia locale del Kerala due nostri militari in uniforme che erano in servizio armato su una nave in navigazione in acque internazionali. 

Non è detto però che con un governo a guida del Bjp si vada necessariamente di male in peggio, tanto più se questo governo, come sembra comunque inevitabile, dovesse essere basato non solo sul Bjp ma su una coalizione composta anche da altri partiti.