Situazione sempre più confusa in Libia, che sembra scivolare sempre di più verso la guerra civile dopo l’attacco portato dalle milizie dell’ex generale Haftar al parlamento di Tripoli. Altre milizie, quelle del colonnello Bukhmada, hanno nelle ultime ore dichiarato di unirsi a quelle di Haftar il quale, come si sa, ha dichiarato di voler combattere i fondamentalisti islamici che avrebbero preso il potere in Libia. Il problema è che in Libia dopo la caduta di Gheddafi non è mai stato chiaro chi governi veramente. Secondo il professor Abdel Fattah, egiziano, ma docente universitario anche in Libia, “i paesi della primavera araba vivono ancora in una transizione dovuta ai crolli dei vecchi regimi che al momento è sfociata, in Egitto, in un nuovo regime totalitario. In Libia queste milizie cercano di fare lo stesso, ma fino a quando non si darà inizio a un autentico dialogo con tutti gli uomini di buona volontà qualunque sia il loro schieramento religioso o politico, questa transizione porterà solo sangue”.



Crede che quanto sta accadendo in Libia ricordi quanto già successo in Egitto con il golpe che ha portato alla caduta di Morsi?

C’è sempre un punto di partenza che voglio sottolineare quando parliamo di questi paesi. Ogni persona di buona volontà è contro il fanatismo e la violenza, sia da parte degli estremisti che dei regimi totalitari. Ma c’è differenza tra una autentica lotta al terrorismo e una lotta alle rivoluzioni e ai cambiamenti portati dalla primavera araba. 



Vuole dire che con la scusa di una lotta anti terrorismo si fa una lotta contro il popolo e la democrazia? 

Intendo dire che in Libia come in Egitto una vera riconciliazione non sarà mai possibile né da parte dei golpisti né tramite la persecuzione. In Libia la situazione è particolarmente complicata perché le armi si trovano dappertutto e ogni gruppo o milizia ne può fare uso. Se il generale Haftar fosse stato sincero in quella lotta che lui sostiene essere contro il terrorismo, il governo libico non avrebbe parlato di tentativo di colpo di stato. 

C’è dunque un parallelismo tra Egitto e Libia?



Quello che succede in Libia avrà influenza in Egitto come esempio. Come egiziano sono addolorato per come la primavera araba sia finita dopo tutto quello che abbiamo fatto per combattere Mubarak. Solo il dialogo è l’unica via di uscita. 

Qual è la colpa principale del regime militare in Egitto che adesso si potrebbe ripetere in Libia?

Assassinare i sogni dei nostri paesi e assassinare la rivoluzione contro i regimi totalitari. In Egitto questo è chiaro: nei carceri dei golpisti non ci sono estremisti ma islamisti moderati che hanno vissuto per decenni in mezzo agli egiziani, ed erano parlamentari, e finora non sono stati processati.

Ma secondo lei c’è un sostegno reale da parte del regime egiziano a favore di questo generale Haftar?

E’ possibile. I regimi totalitari come quello egiziano cercano le bugie per nascondere le atrocità che compiono contro gli oppositori. Al di là degli errori commessi da Morsi che pure ci sono stati, i militari hanno commesso continue violazioni contro i diritti dell’uomo. Gli esempi sono molti: le false accuse senza prove contro Morsi per arrestare gli oppositori allungando la custodia cautelare, la pena di morte contro 500 accusati. E allora combattere i fondamentalisti islamici può diventare un pretesto pesante per far sprofondare anche la Libia nello stesso caos in cui è l’Egitto. 

 

E’ un dato di fatto però che la Libia dopo la caduta di Gheddafi non sia più riuscita a stabilire una forte autorità centrale e che il paese sia diviso tra milizie di vari schieramenti religiosi e politici.

Tutti i paesi dopo una rivoluzione o la fine di una guerra vivono un periodo di transizione, questo è successo anche a voi in Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta delle dittature. Noi paesi della primavera araba viviamo in una fase difficile in cui la democrazia vera è ancora lontana, divisi come siamo tra chi vorrebbe tornare indietro e chi andare avanti. Questa fase è naturale, ma per abbreviarla dobbiamo adottare il dialogo e l’apertura mentale tra tutti gli uomini di buona volontà a qualunque schieramento essi appartengano.