“Il Papa ha testimoniato a tutti, arabi e israeliani, ebrei e musulmani, la possibilità di pace offerta da Cristo che è profondamente diversa da quella del mondo”. A osservarlo è monsignor Mounir Khairallah, eparca cattolico maronita di Batrun in Libano, commentato la visita di Papa Francesco in Terrasanta. “In questo luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito a Lei, Signor Presidente Mahmoud Abbas, e al Signor Presidente Shimon Peres, ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace”, sono state le parole del Santo Padre. Con monsignor Khairallah abbiamo parlato anche della crisi istituzionale che si è aperta in Libano, dove il presidente della Repubblica, Michel Suleiman, ha concluso il suo mandato e lasciato il suo incarico senza che il Parlamento abbia ancora eletto il suo successore.
Qual è stato il significato della visita di Papa Francesco per il mondo arabo?
La visita del Santo Padre nella terra di Cristo ci ha mostrato innanzitutto un messaggero di pace, la pace di Cristo e non quella del mondo. L’obiettivo è dire al mondo intero che la Chiesa di Cristo ha bisogno di avere la pace, una pace vera e durevole. I suoi predecessori, fin da Paolo VI, e poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono tutti andati sulla terra di Cristo per dire ai responsabili politici e al mondo intero che la pace è comunque possibile. Dobbiamo aiutarci tutti a ristabilire questa pace.
In che modo è possibile farlo?
Il Papa ha invitato il presidente palestinese e quello israeliano, dicendo loro “Venite a casa mia” e chiedendo loro di pregare insieme per questa pace. Quella del Papa è una voce arrivata direttamente ai cuori dei due presidenti, Abu Mazen e Perez, i quali sembra abbiano risposto subito di sì. Papa Francesco, facendosi prossimo agli altri, è riuscito a stabilire un dialogo fraterno e veritiero anche tra arabi e israeliani, facendo sentire ciascuno di loro responsabili del mondo.
L’incontro tra Papa Francesco e il patriarca Bartolomeo ha un valore particolare per l’unità dei cristiani?
Papa Francesco sente il bisogno di un avvicinamento tra ortodossi e cattolici, ma anche tra tutti i cristiani. L’incontro con il patriarca ecumenico Bartolomeo cade nel 50esimo dell’incontro tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora. E’ dunque una presa di coscienza di quanto è stato fatto in 50 anni, di un cammino positivo tra le due Chiese, e Papa Francesco cerca di consacrare questo avvicinamento.
Il Papa ha parlato dei mercanti d’armi e dei bambini soldato. Può essere un monito per la Siria?
Certamente, la Siria è un altro grande problema per tutti. Si tratta di un vero dilemma perché ci sono tanti interessi che si fanno la guerra. Interessi internazionali, economici, sociali e politici. La popolazione siriana paga un prezzo molto alto, come già abbiamo fatto noi libanesi. Non si sa ancora come andrà a finire, ma quantomeno il Papa resta per la coscienza dei responsabili internazionali, sia del regime sia dell’opposizione, una voce di richiamo a una presa di coscienza dell’umanità che ci caratterizza tutti, e che va sempre rispettata soprattutto nei giovani e nei bambini. Occorre rinunciare all’uso delle armi per dialogare nella sincerità e nella verità.
Passiamo al Libano, dove il presidente della Repubblica Suleiman ha rassegnato le dimissioni. In che modo è possibile superare questo vuoto di potere?
Nello stesso modo in cui si è riusciti a trovare un accordo sulla nomina del primo ministro. Dopo 11 mesi di vuoto istituzionale, le forze politiche hanno formato un governo di unità nazionale. Il consiglio dei ministri in carica è il risultato della buona volontà della maggioranza dei politici libanesi. Allo stesso modo si può sperare che si mettano d’accordo sul presidente della Repubblica, in modo da arrivare a una nuova nomina in tempi ragionevoli.
Quale contributo può dare la Chiesa cattolica alla crisi politica in Libano?
La Chiesa cattolica, a partire dal patriarca, richiamano i politici e soprattutto i deputati ai loro doveri. Tra questi c’è quello di riunirsi e di eleggere un presidente della Repubblica, per ripristinare la democrazia e l’amministrazione dello Stato. La Chiesa ha il compito di favorire la formazione degli uomini politici e continuerà a farlo. Finora i deputati non hanno eletto il presidente perché hanno i loro interessi, ma noi pensiamo che presto o tardi lo faranno, e ritorneranno al Parlamento per compiere il loro dovere.
(Pietro Vernizzi)