In viaggio tra Addis Abeba e Juba. Sotto l’aereo a eliche, le nuvole. Sotto le nuvole vedo il verde del Sud Sudan nella stagione delle piogge, attraversato da serpenti marroni, rossicci. Strade, penso. Poi invece si capisce dalla traccia curvilinea che sono fiumi. Una strada forse l’avrebbero tracciata più dritta, per raggiungere prima la destinazione. Io rientro a Juba e più ci avviciniamo più il sorriso si allarga. Che posto il Sud Sudan. E’ Africa, e in Africa c’è posto per tutto. Anche – e sempre di più – per la guerra: al nord si combatte ancora e forse più di prima. Bentiu l’hanno presa i ribelli la settimana scorsa. Ora sono di nuovo le truppe governative che si fanno sotto.
Nassir, in Upper Nile, è il nuovo teatro di guerra. E Twic County, Warrap. Quest’ultima zona non di guerra, fino a due o tre settimane fa. La guerra negli stati petroliferi e ribelli oltrepassa i confini. Soprattutto facendo sfollati, gente che scappa che noi di AVSI insieme alle altre realtà presenti sul territorio ci prepariamo ad accogliere. Gente che si rifugia negli stati confinanti, dove non sembrano esser previsti aiuti. Tutto nelle zone in guerra, dove non si può andare e non si riesce a stare. Sappiamo di devastazioni e di nulla dopo i combattimenti. Un paradosso i fondi per l’emergenza umanitaria dove muovere un passo è la morte o la vita.
Ban-Ki – Moon ieri è arrivato a Juba. Nelle fotografie indossa una camicia quasi mimetica militare, color della terra. Qualche giorno fa anche il segretario di stato americano Kerry è stato qui. Ha provato a mettere i due elefanti seduti allo stesso tavolo. Ma nulla. Forse non vogliono mediazioni americane, non ne vogliono la presenza. Eppure un parente che sta negli USA ci racconta che la sua impresa di costruzioni verrà a costruire proprio qui. Durante questa guerra, forse anomala. O forse si tratta piuttosto di una scossa di assestamento. Il 2011 – con la nascita del Sud Sudan – è stato solo un primo passo. Forse solo le doglie. Si attende il parto.