Per ridare speranza al futuro è sufficiente girare lo sguardo fuori dal campo europeo e occidentale. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – noti come Brics – dal 15 al 17 luglio terranno in Brasile la sesta sessione del Consiglio per la condivisione e gli scambi. Il Brics è una piattaforma orizzontale che ha lo scopo di facilitare il business e l’interscambio economico tra i suoi membri. Sembra che nella sessione di luglio sarà ammessa anche l’Argentina tra i membri ufficiali del Brics.



Non trattandosi di una sovrastruttura sovraordinata agli stati membri, ma avendo comunque una base giuridica condivisa e un sistema per dirimere le dispute, la piattaforma Brics rassomiglia in forma più grande e concreta a quei progetti pilota che il Pnud (Programma dell’Onu per lo sviluppo) promuoveva negli anni ‘80. Infatti, sin dal 2012 l’università di Fuan in Cina offre numerosi corsi di formazione e di specializzazione per far emergere classi dirigenti nazionali capaci di gestire relazioni collaborative e innovative per la cooperazione e la governance mondiale. Sempre dal 2012, i Brics studiano modelli e modalità per creare una piattaforma finanziaria per gestire le transazioni non denominate in dollari americani. D’altra parte, i Brics in numeri contano in modo aggregato più della metà del Pil mondiale (oltre 15 trilioni di dollari) e pesano per circa il 30% delle transazioni commerciali mondiali.



In quest’ottica, il recente accordo strategico e commerciale tra Russia e Cina è molto significativo. Probabilmente il più importante risultato (involontario) dell’isteria euro-americana contro la Russia. Infatti, tra i 43 protocolli degli accordi tra i due paesi, oltre all’imponente fornitura di gas russo per i prossimi 30 anni, c’è l’accordo finanziario tra la seconda banca russa, Vtb, e la banca del popolo cinese per regolare le transazioni tra i due paesi su un modello di settlement de-dollarizzato. Sembra proprio che gli studi dell’università di Fuan inizino a dare i propri concreti frutti (dopo solo due anni).



Se a questo si aggiunge che il mese scorso a Pechino è arrivato Nikolai Patrushev, uno dei più stretti collaboratori del presidente Putin e presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale della Russia, si capisce che i due paesi hanno iniziato ad approfondire sostanzialmente le loro relazioni strategiche e di intelligence. D’altra parte, Patrushev è stato fino a poco tempo fa il capo del servizio di intelligence russa per l’estero. Secondo alcune dichiarazioni di Patrushev riferite da agenzie di stampa, “la Russia e la Cina devono allinearsi su tutti i dossier internazionali”; “la Russia ha come priorità lo sviluppo e l’approfondimento delle relazioni con i Brics”. Inoltre, la Russia sostiene la domanda di membership dell’Argentina, che aveva già ottenuto il significativo appoggio dell’India.

Di particolare valore strategico sono le dichiarazioni di Patrushev a favore della Shanghai Cooperation Organization (Sco) e della Collective Security Treaty Organization (Csto). Innanzitutto, le relazioni in seno allo Sco saranno fondamentali per gestire l’insieme dell’area dell’Hindu Kush (Afghanistan, Pakistan) dopo la partenza degli americani nel 2016. Quanto alla Csto, un’organizzazione di cooperazione in materia di difesa sponsorizzata dalla Russia, la possibile partecipazione della Cina cambierebbe profondamente gli equilibri geostrategici in Asia Centrale (e per l’Iran). In questo senso si deve leggere l’accordo firmato dal vice primo ministro russo Dmitry Rogozin, già ambasciatore presso la Nato (e ora nella lista delle sanzioni euro-americane), con la Cina per la costruzione congiunta di grandi aeroplani, nuovi elicotteri e per la navigazione satellitare.

Confrontato a questa serie di buone notizie, il blocco occidentale (Ue, Usa, Giappone) vuole continuare a credere che le relazioni sino-russe non diventeranno mai una vera alleanza strategica globale. Se la posizione americana è comprensibile, invece l’Unione europea avrebbe dovuto seriamente interrogarsi. Così non è perché le nostre classi dirigenti sembrano invece aver scelto di seguire supinamente gli Usa, senza aver mai dato vita ad alcun serio dibattito. La politica delle sanzioni anti-russe e delle minacce della Nato serve solo gli interessi americani, che a medio termine vedono nella Cina e nel Pacifico il prossimo teatro di confronto militare globale. L’Europa non ha invece alcun interesse a gettare la Russia nelle braccia della Cina, negandole la possibilità di una possibile futura integrazione che cultura, economia e politica imporrebbero.

Accettare questa frattura con la Russia, gestendo secondo le indicazioni di Obama la crisi dell’Ucraina, è un errore epocale dell’Europa. Per ora sono solo l’Italia e la Germania che tra grandi difficoltà tentano di contenere i danni delle politiche americane in Europa (ma non osano sfidare l’alleato). Tuttavia, il danno all’Europa è stato fatto e i suoi effetti saranno molto durevoli.

È in quest’ottica che dovrebbero preoccupare moltissimo gli europei le parole del neoeletto presidente dell’Ucraina (Poroshenko) che ha dichiarato al suo insediamento: “Non accetteremo mai di considerare la Crimea un territorio altro che parte dell’Ucraina”. Secondo un noto analista strategico “queste parole sono nei fatti una vera dichiarazione di guerra alla Russia”. È molto improbabile che gli occidentali decidano di “morire” per l’Ucraina, così deludendo le aspettative del povero Poroshenko, ma la situazione è davvero molto preoccupante. D’altra parte, come ha notato l’agenzia Reuters, l’equilibrio instabile tra guerra e pace tormenta gli occidentali, consapevoli che in queste situazioni è l’errore irrazionale più che una decisione cosciente a poter far deflagrare un grande conflitto.

Rattrista, in tutto questo, che le leadership politiche dei paesi europei e dell’Ue passino il loro tempo a discettare di nomine post-elezioni invece di affrontare temi ben più gravi e sostanziali come: che deve fare l’Ue? A che serve l’Ue? Come, con quali strumenti deve agire l’Ue? Sembra proprio che questi leader politici europei non vogliano mai ascoltare i propri cittadini che nell’ultima tornata elettorale hanno senza dubbi riconfermato di non essere più interessati all’Ue (55% di astenuti in media, con punte dell’80% in certi paesi) o di opporsi a quanto l’Ue ha fatto negli ultimi dieci anni (30% dei votanti).

Quanto al ruolo di questa Unione europea in paesi quali l’Egitto, la Libia, la Siria, è meglio stendere un pietoso velo (con vergogna). Tornando all’Ucraina, è chiaro che adesso il presidente Poroshenko ha il potere legale di fermare la violenza e aprire a negoziati seri con la Russia e l’Ue. Purtroppo, ancora oggi, con il silenzio compiacente dell’Ue, le forze governative dell’Ucraina hanno continuato ad attaccare postazioni civili nell’Est e nel Sud facendo uso di artiglieria pesante e bombardamenti aerei. L’ipocrisia europea e i doppi standard porteranno solo guai. Qualcuno se ne renda conto prima che sia troppo tardi.