Sfido chiunque stia leggendo queste righe a dirmi, negli ultimi tre anni, quante volte ha sentito parlare di Iraq. Scomparso dalle cronache, totalmente ignorato da tutti i media internazionali. Volutamente tralasciato, dico io, perché faceva comodo che su Baghdad non si addensassero sguardi indiscreti, perché l’idea era mantenere lo status quo fino alla caduta della Siria, che poi non è avvenuta. Uno Stato totalmente slegato da ogni controllo internazionale e volontariamente sguarnito a livello militare, con un governo traballante e incerto; un territorio che potesse fare da testa di ponte per un’alleanza jihadista e terrorista “di quadrante”, utile ad uno sbarco in massa verso il Caucaso e poi la Russia. 



Certo Putin questo lo aveva intuito da tempo ed è per questo che ha detto sempre no all’intervento in Siria, assieme all’Iran e alla Cina, consci che lo stravolgimento di determinati equilibri sarebbe costato il disastro geopolitico non solo all’Est ma anche in Europa. L’avanzata militare e incontrastata dei miliziani qaedisti in Iraq, che prendono il controllo di una provincia ogni giorno, non deve dunque stupire vista la totale assenza da parte della comunità internazionale in questi anni; si profila, e con ogni probabilità si verificherà presto, la presenza del primo Stato a guida ufficialmente terrorista e qaedista, con il potere nelle mani dei miliziani che fanno capo al gruppo dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). 



Quello che fino a poco tempo fa sarebbe stato definito uno “Stato canaglia”, a cui si sarebbe guardato con le armi in pugno, oggi potrebbe divenire realtà istituzionalizzata. Nel silenzio vergognoso dell’intera comunità internazionale e dei media, che fino a ieri parlavano di libertà ceduta per avere sicurezza, non portando poi ai popoli, come qualcuno amava dire, nessuna delle due. Ma perché oggi lo scoppio della violenza in Iraq e il tentativo di prendersi una nazione intera da parte dell’estremismo di matrice islamica? Invito i lettori a dare un rapido sguardo alla cartina geografica, e ai rapporti di forza nel quadrante. L’Iraq ha intorno a sé Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Iran e soprattutto Siria. 



Le elezioni a Damasco, con l’esito favorevole ad Assad, hanno profondamente accelerato ogni piano di conquista dell’enclave irachena da parte di Al Qaeda e rallentato la formazione del nuovo governo di Al Maliki, con il risultato che oggi abbiamo sotto gli occhi. Bombe, attentati, massacri, avanzate militari qaediste e soprattutto l’esodo biblico di sciiti, cristiani e moderati. I terroristi, dopo la sconfitta in Siria, hanno rotto preventivamente l’accerchiamento in cui avevano capito di essere finiti a pochi giorni dalla vittoria di Assad e dunque sono passati all’azione in maniera repentina.

Gli Usa che dialogano con l’Iran, il fatto, riportato da fonti arabe, che un importante membro della famiglia reale saudita abbia fatto tappa a Damasco per offrire aiuti al fine di estirpare i jihadisti e che alcuni oppositori siano rientrati in Siria per dialogare di una riconciliazione, rende ancora più chiaro che nello scacchiere arabo nemmeno più Riyadh possa essere considerata un vicino amichevole.

Perché timorosa di ripercussioni da parte estremista. E l’Iraq che abbiamo sotto gli occhi oggi è uno Stato praticamente disintegrato, peggio di come gli americani lo trovarono quando scoppiò la guerra oltre dieci anni fa, in preda a tribalismi religiosi, omicidi e attentati in sequenza, esercito diviso e polarizzato fra lealisti e filo-qaedisti. Pronto ad essere conquistato nella sua interezza dai terroristi, a divenire il primo Stato di Al Qaeda e del Daish. Di chi la responsabilità di questo sfacelo? Sicuramente di chi arriva, fa finta di fare la guerra mentre si occupa di tutt’altro, e poi una volta completata l’opera di destabilizzazione se ne va, portandosi appresso un fardello di responsabilità di cui non si prenderà mai la briga di rispondere. Chi interverrà oggi per fermare quella che sta per diventare una guerra interislamica utile solo a sguarnire ogni difesa alle risorse energetiche? Probabilmente nessuno, visto che in Iraq, oggi, non ci sono né Gheddafi né Saddam. C’è Al Qaeda armata fino ai denti. E non si può far finta di fare la guerra.