Gli eventi fanatico-militari che infiammano il Medio Oriente, al di là delle sigle e delle formazioni, sono aggiustamenti ai guasti post-coloniali lasciati dalle potenze europee e sui quali si innestò la spartizione bipolare tra Usa e Urss. Gli Usa immaginavano di mantenere lo statu quo mediorientale attraverso i tre pilastri “amici” di Turchia, Egitto e Israele. Dopo 35 anni gli Usa stanno provando a recuperare un altro perno della stabilità regionale: l’Iran. Però dopo decenni di errori, e particolarmente dopo il fallimento dell’ultimo tentativo di “modernizzazione” delle guerre di Bush, adesso agli americani si presenta un problema ben più difficile e vasto: le fratture inter-sunnite che rischiano di destabilizzare mezzo pianeta, dall’Africa occidentale all’Algeria, dal Marocco all’Asia centrale. 



L’Urss umiliata aveva lasciato campo libero, ritirandosi tranne che dalle uniche due basi nel mare caldo di Sebastopoli (Crimea) e di Tartus (Siria). Con il progressivo disimpegno americano e la costante espansiva presenza cinese nell’area mediorientale e africana, la Russia ha fatto recentemente ritorno tra le potenze che hanno influenza strategica sugli eventi. L’assente addormentato è l’Europa, con l’eccezione francese e britannica. 



L’Ue non è in grado di far nulla di significativo perché, essendo cresciuta negli ultimi decenni sotto la tutela americana, ha sviluppato l’incapacità culturale alla politica di potenza, civile e militare, illudendosi di svolgere un ruolo con le chiacchiere dei suoi esperti sul vicinato, la democrazia, le elezioni e i diritti. Non ha saputo neppure usare l’unico peso che aveva, cioè quello commerciale derivato dal suo mercato. Esso presupponeva un cambiamento radicale delle politiche commerciali e degli investimenti europei verso quei paesi. Invece, l’Ue è rimasta ancorata alle vecchie logiche geocentriche, chiusa finanche in materia agricola.  



Eppure, a ben vedere, gli eventi di queste ore in Siria e Iraq, oltre a quelli in Libia e nell’Africa occidentale e centrale, sono la più grande minaccia strategica all’Europa. Molto più pericolosa per l’Europa che per gli Usa, la Russia e la Cina. Oltre al riversamento sulle coste europee di crescenti flussi di persone che fuggono, si aggiunge il pericolo molto reale del ritorno dei combattenti e terroristi fanatici con passaporto europeo (secondo i servizi segreti europei si tratta già di alcune migliaia di persone). Inoltre, quel che avviene in Iraq e in Libia (e si spera che non avvenga in Algeria) ha un effetto immediato sul costo dell’energia (oil&gas), che l’Ue importa per l’80% del suo fabbisogno. 

Infine, la continuazione delle guerre inter-islamiche, tra sunniti e sciiti, ma anche tra le fazioni e milizie fanatiche e terroristiche, metterà a rischio il labile equilibrio della regione africana dei Grandi Laghi. Da un punto di vista geostrategico, i Grandi Laghi sono il “polmone geostrategico” su cui si potrà fondare la rinascita dell’Europa. I fatti che avvengono in Nigeria, Congo e Kenia sono spie molto inquietanti alle quali, non a caso, Francia e Regno Unito prestano la massima attenzione (finanche la Germania se ne è recentemente convinta). 

Continuare a credere che i componenti delle guerre inter-islamiche – jihadisti, qaedisti, salafiti, eccetera − siano solo dei primitivi barbuti che gridano Allah è grande, è la miglior maniera per subirne l’impatto senza capacità di prevenzione e di risposta. Questi gruppi, per quanto odiosamente fanatici, dispongono ormai di capacità logistiche, militari e operative, oltre ad un flusso di denaro costante e in crescita, fornito non solo dai traffici criminali ma anche da ricche famiglie saudite e qatarine. Coinvolgono masse crescenti di popolazioni che, orfane di stati funzionanti e disperate dagli errori drammatici occidentali, trovano nel fanatismo una risposta all’esistenza. 

Si tratta di galassie composite, di organizzazioni asimmetriche che si combattono o si aggregano velocemente secondo opportunità e necessità. Su queste organizzazioni interagiscono potenze esterne, americani, europei, russi e cinesi, ma anche strutture locali antropologico-religiose. Tra queste ultime, risaltano gli antagonismi atavici tra sunniti e sciiti, rappresentati da potenze statuali regionali come l’Arabia Saudita, l’Iran, la Turchia e il Pakistan. L’illusione americana, e poi europea, di sedare queste convulsioni che hanno lontane origini storiche aggravate dal colonialismo europeo e americano, sostenendo l’affermazione di un islam politico, i Fratelli musulmani, e gloriandosi della presunta domanda democratica che i media occidentali hanno raccontato nelle fumose quanto fantastiche primavere arabe, è stato un errore madornale. Come ha dimostrato l’Egitto, ma vale per tutti questi popoli e paesi, la struttura clanistica e tribale si riconosce in un unico riferimento, quando c’è: l’esercito. Aver sbandato gli eserciti di Gheddafi in Libia e di Saddam Hussein in Iraq (e per poco anche di Assad in Siria; ricordiamoci che 6 mesi fa Regno Unito e Francia volevano bombardare la Siria) non ha fatto altro che aprire lo spazio alle milizie fanatiche e religiose che oggi combattono e si combattono. 

Il risultato di tutto ciò è terrificante e drammatico. Se tecnicamente Obama ha cercato di allontanare il Medio Oriente dagli interessi strategici americani, anche in forza della possibilità creatasi con lo sfruttamento di risorse energetiche autoctone, adesso sono quei governi “democratici” messi in piedi dagli americani che bussano alla porta per essere aiutati. Che farà Obama? 

Che il prezzo dell’energia salga, non è affare degli americani, e non può che avvantaggiare i produttori esportatori come la Russia. Inoltre, una tale situazione non farebbe che spingere ancor di più gli europei nell’abbraccio del patto transatlantico di libero scambio (Ttip) e all’acquisto del gas liquefatto americano. Che scoppi una nuova guerra tra Iran e Iraq, cioè tra le milizie islamiste Isis sunnite e con legami occidentali e sauditi contro gli sciiti del governo iracheno sostenuto dai Curdi e dall’Iran, non è affare degli americani. Che se ne occupi la ricca (e ormai odiata) Arabia Saudita. Il problema è la Turchia che è membro della Nato. Ma anche in questo caso, che ci pensi l’Europa. 

Insomma, ci sono buone possibilità che Obama se ne lavi le mani anche se retoricamente darà l’impressione di far qualcosa. D’altra parte, gli americani potrebbero anche vedere nell’intervento dell’Iran in Iraq un modo per riaccreditare la sua potenza regionale, utile anche nei negoziati in corso, e bilanciare quelle petromonarchie sunnite che ormai sono diventate un imbarazzo costante per gli Usa.

Una cosa è certa. Il vaso di Pandora mediorientale si è aperto e i mostri che ne usciranno li vedremo per molti anni a venire. I danni all’Europa ci sono e continueranno ad esserci. Non sarebbe il caso che tutti i paesi europei smettessero di giocare sulla giostra incantata di Rond Point Schuman e cominciassero ad affrontare i problemi del mondo reale? Ad esempio una politica di potenza nazionale e comune attorno ad un comune servizio di intelligence, e una nuova e sensata politica energetica?