Dall’alto cerco tracce del deserto. Immaginavo la savana, immaginavo tutto giallo, secco. Nessun verde.

E invece verde, strisce di terra che sembrano prato, dal cielo, ma forse sono palude. Non so, e i serpentoni dei fiumi. Un ponte. Poi scopro che è quello nel Warrap, prima di Tonj. Ancora non siamo sopra il Northern Bahr El Ghazal, dove mi aspetta Wau.



Atterriamo. Fausta mi ha raccontato che le hanno raccontato che Wau ha tracce di islam, tracce di Sudan, tracce arabe. 

Trovo quello che non mi aspetto: un fiume, che porta il verde. Alberi. Una cittadina dove le strade, rossissime, fanno su e giù. In un paese piatto come questo ogni salita e discesa ti pare una collina.



Strade asfaltate. Ma ancora meglio: tracce di strade selciate. Mi spiega Angelo – lui dirige i lavori di costruzione di una parte nuova dell’Ospedale Missionario di Wau da 6 mesi – che le strade le hanno fatte gli inglesi, con una specie di catrame. Nel catrame, incastrati i sassi.

E poi i muri rossi. Mattoni. Quelli dei comboniani. Colore che rende inconfondibile la loro presenza, il loro passaggio. 

Un libro di mille pagine ne racconta la presenza in Sudan, dagli inizi del secolo Ventesimo. Vorrei leggerlo, ma non c’e’ tempo. Allora cerco i nomi dei posti che conosco. Prima fra tutti, Isohe con i nostri progetti AVSI. C’è. Fa caldo, ma c’è vento. Un vento bellissimo e una Cattedrale. 



Angelo, mentre camminiamo verso l’ospedale, mi racconta che quella cattedrale l’hanno cominciata a costruire molto prima di cominciare con i mattoni. Lascia intendere. E io capisco che significa un dialogo, con la gente. Per la costruzione di una presenza diversa e originale che trascina. Insieme agli inglese e agli arabi hanno portato qualcosa di visibile che a Juba non trovi: i carretti trainati da asini per portare l’acqua, i carretti trainati da cavalli per portare il materiale. La trazione animale significa evoluzione.

Una strada selciata. Un mercato pieno di merci. I ragazzi che ogni sera si

Trovano per giocare a palla a mano, maschi e femmine. 

E i binari di una ferrovia. Ora ci cresce sopra l’erba. Ma gli occhi mi si illuminano quando la vedo.

Suor Maria Dolores lavora all’ospedale missionario, dove lavorano suore di congregazioni diverse, tutte insieme. 

Mi racconta che lei era qui prima della guerra. E che negli anni ’80 Wau era “ancora più città di adesso’”. Arrivava il treno da Karthoum, che portava cibo e altro, per il mercato. Una città ancora più viva. Ma poi la guerra. allora penso che spesso me lo dimentico che c’e’ stata la guerra. mi dimentico che non e’ un passato lontano. bisogna farci i conti.

Era una Città ancora più Città! Mi dice. Le brillano gli occhi.

Mi accompagna al cancello, sul retro dell’ospedale. Passa da qui che fai prima. Devo andare a prendere l’aereo per tornare a Juba.

Mi indica una pianta ai piedi del muro di recinzione: è una bouganville, l’ho piantata ma non sta crescendo perché non ha piovuto: “L’ho piantata perché poi quando cresce arrampicandosi sul muro è così bella”.