(Ieri si sono svolti a Belfast i funerali di Jerry Conlon, uno dei “quattro di Guildford” (Gerald Conlon, Patrick Armstrong, Paul Hill e Carole Richardson), che nel 1974 finirono in carcere con una condanna a 30 anni dopo un attentato dell’Ira in un pub di Guildford che fece cinque vittime e 65 feriti. Vennero rilasciati nel 1989 dopo che una Corte d’appello li giudicò innocenti. Nel 2005 Tony Blair, allora primo ministro, mandò loro una lettera di scuse. Ndr)
Era inevitabile che la risposta di Paul Hill riguardo alla morte di Gerry Conlon sarebbe stata fraintesa. Forse, è vero, avrebbe potuto spiegarsi meglio, ma chiunque abbia conosciuto la loro storia avrebbe capito cosa intendeva. Lo scorso weekend ha detto di avere avuto emozioni contrastanti, quando ha appreso, negli Stati Uniti, della morte di Gerry, suo amico da tutta una vita, aggiungendo che la morte per lui era arrivata come una liberazione.
“Quello che è accaduto a me e a Gerry Conlon” ha proseguito “è stato un errore giudiziario peggiore di quelli riguardanti i morti a Guildford, a Woolvich e a Birmingham”.
Ciò ha destato considerevole scandalo, principalmente, stando all’interpretazione più letterale possibile delle parole di Hill, fra gli Unionisti nordirlandesi. Secondo alcune fonti, alcuni membri delle famiglie delle persone uccise in quei bombardamenti sarebbero rimaste profondamente ferite dalle parole di Hill.
Hill, però, intendeva esprimere un’emozione personale e non un dato di fatto. Egli non intendeva in alcun modo sminuire il dolore delle famiglie delle vittime dell’Ira, ma solo – per l’ennesima volta – cercare di esprimere il proprio dolore per la vita perduta sua e dei suoi amici. A suo modo, egli cercava di dare voce alla condizione di uomo libero che porta l’onta ed il fardello di un’accusa ingiusta lungo tutta una vita in cui la libertà diventa qualcosa di alieno. Stava cercando di dire che non si può derubare un giovane di 15 anni di vita e aspettarsi che viva come se nulla fosse accaduto. Cercava anche di dire che, benché non più imprigionati da serrature e sbarre, ma avendo passato la primissima età adulta in un carcere britannico, lui e il suo amico avevano passato i primi 25 anni della loro vita da ex carcerati come due condannati a morte in attesa di esecuzione. In sostanza, Paul Hill cercava di identificarsi con le vittime delle bombe dell’Ira, e, in un certo senso, lui e le altre persone ingiustamente incarcerate possono, a tutti gli effetti, essere inserite nella lista delle vittime innocenti di quelle atrocità.
Hill e Conlon hanno passato 15 anni in carcere, accusati di crimini con cui non avevano mai niente avuto a che fare. Erano del tutto innocenti. Gerry Conlon ha visto suo padre morire in carcere, dopo avervi passato quattro anni.
L’errore di Giuseppe Conlon era stato di venire in Inghilterra ad aiutare il figlio, per venire poi accusato di essere un bombarolo. Giuseppe aveva un polmone solo, soffriva di enfisema e durante la detenzione gli venne un tumore. Gli venne offerta l’opportunità di essere trasferito in un carcere nordirlandese, dal quale avrebbe avuto forti probabilità di essere rilasciato di lì a pochi mesi, ma egli rifiutò, a meno che non venisse concesso al figlio di andare con lui. Morì all’Hammersmith Hospital nel 1980. Passò più di un decennio prima della revoca della sua condanna.
Una delle tante cose dimenticate è che, malgrado il rilascio dei Quattro del Guildford nel 1989, passarono altri 16 anni prima che il governo britannico ammettesse che la loro condanna era stata ingiusta, sotto forma di scuse formali da parte del Primo ministro Tony Blair. Prima di allora, i rilasci rimasero avvolti in una nube di ipocrisia, insinuazione ed equivoci.
Il pretesto iniziale per i rilasci fu che si riteneva che le condanne fossero inaffidabili per problemi riguardanti i metodi della polizia. I Quattro del Guildford furono condannati sulla base delle loro “confessioni”, poi ritirate. Quando un giudice che aveva respinto molti dei loro ricorsi legali venne a sapere del loro rilascio, borbottò semplicemente: “Non vi sono prove”. In seguito, alcuni agenti di polizia accusati di aver prodotto dichiarazioni secondo cui i Quattro del Guildford si sarebbero autoaccusati, vennero assolti da tutte le accuse. Questo rifiuto caparbio ad ammettere la portata degli errori che Hill e Conlon avevano patito ne segnò le vite in modo irrimediabile, così come quelle di altre vittime dei “disordini” nordirlandesi ingiustamente condannate e che soffrirono di malattie, relazioni troncate, alcolismo e altri problemi. Il fatto che venne girato un mediocre film hollywoodiano su di loro (Nel Nome del Padre) alleviò ben poco il dolore di Paul Hill e Gerry Conlon.
Ad Hill è stata anche data ragione lo scorso weekend per le sue critiche ai giornalisti e politici irlandesi, in cui li accusava di non aver fatto niente per aiutare le persone condannate ingiustamente per i crimini dell’Ira. Visti dall’esterno, questi “disordini” vengono spesso ricondotti a semplici categorie tribali, ma, in realtà, l’Irlanda nazionalista degli anni Settanta e Ottanta – incapace di fronteggiare la crescente barbarie della campagna dell’Ira – voltò le spalle a quelli che proclamavano la loro innocenza, dicendo che non c’è fumo senza arrosto. Fu Chris Mullin, membro del Partito Laburista Inglese, a impegnarsi più di tutti gli altri per ottenere il rilascio di quanti erano stati ingiustamente condannati.
Alla fine degli anni Ottanta, io ero direttore di una rivista di sinistra di Dublino chiamata In Dublin, e uno dei nostri giornalisti scriveva regolarmente articoli riguardanti condanne ingiuste di persone come i Sei di Birmingham, i Sette Maguire e i Quattro di Guildford. Pubblicammo quegli articoli, ma per molti anni nessun altro volle sapere nulla di queste cose. Il suddetto giornalista, Derek Dunne, morì nel 1991, due anni dopo il rilascio dei Quattro di Guildford, in gran parte per lo stress patito perché non riuscì più a lavorare come giornalista dopo che io, nel 1987, lasciai la rivista. Ai media irlandesi non piacevano le persone che apparentemente giustificavano i terroristi dell’Ira.
I “disordini” hanno fatto registrare diverse vittime, molte delle quali sono state riconosciute come tali, subito o tardivamente. Alcune non sono state ancora riconosciute in alcun modo.