Obama ci riprova a conquistare l’Europa con l’allettante annuncio del taglio del 30% delle emissioni di CO2 entro il 2030. Il Segretario di Stato John Kerry scrive sulle colonne del Financial Times che “il mondo deve seguire l’America” per concludere un accordo mondiale sull’ambiente. Questa rinnovata coscienza ambientalista coincide, e fa da contraltare, con la visita di Obama in Europa. Prima di arrivare a Bruxelles per il G7, Obama ha incontrato a Varsavia, Polonia, i rappresentanti di tutti i paesi orientali dell’Ue, garantendo l’impegno Usa per la loro difesa dalla Russia con un investimento di un miliardo di dollari.
L’impero americano è senza una strategia militare, com’è chiaramente emerso nel discorso di Obama a West Point, ma continua sul percorso del dispiegamento “strategico” già iniziato da Reagan e poi seguito da Bush nei paesi dell’ex Urss (ora nell’Ue e nella Nato). Però per sostenere la strategia militare l’America ha bisogno di un impero. Dopo lo smacco asiatico del fallimento sul patto di libero scambio nel Pacifico, ora Obama non può permettersi di perdere anche in Europa. Il Ttip, il patto di libero scambio commerciale e degli investimenti Usa-Ue, deve essere firmato e approvato definitivamente prima delle elezioni di mid term del prossimo novembre. Quindi l’affabulazione ambientalista, che sembra una riedizione del grande piano sul climate change, promette una rivoluzione economica “verde” con tanti posti di lavoro.
Il doppio messaggio militare e ambientalista ha un unico obiettivo: la Germania di Angela Merkel. Quest’ultima è ancora poco incline a stemperare la sua egemonia europea nel quadro del grande accordo transatlantico. Infatti, da un lato ha sollevato non poche obiezioni sul principio di reciprocità, particolarmente nel settore finanziario, e dall’altro non intende abbandonare la sua ostpolitik 2.0 che oltre alla Russia include anche la Cina.
Non è questione di ottusità teutonica ma del bisogno di trovare una collocazione geopolitica alla Germania, che per evitare il ripetersi degli eccessi egemonici del passato intende essere quel grande Paese “di mezzo” tra Occidente (americano) e Oriente (russo-cinese). Per riuscire nella realizzazione di questo obiettivo, la Germania ha bisogno dell’Ue con il pivot italiano di Renzi e possibilmente con il Regno Unito. Ma è proprio con quest’ultimo che le frizioni sono altissime a causa della concorrenza tedesca nel settore finanziario di cui finora la City di Londra si sentiva l’egemone mondiale incontrastato. Sul consolidamento transatlantico degli asset industriali e commerciali le difficoltà sono minime, mentre sul lucrativo mercato delle garanzie finanziarie, dei derivati e dei futures, lo scontro tra gli interessi tedeschi e quelli anglo-americani è molto evidente.
Il vero deal del G7 sarà dunque tra Obama, che avrà come comprimari il Regno Unito e la Francia, e la Merkel, che forse potrà contare sull’Italia di Renzi. Quest’ultimo è diventato l’ossessione di Angela che non può permettersi di alienarne il sostegno nella ricomposizione dell’Ue dopo le elezioni. Per ora Renzi e la sua cerchia di fidati collaboratori ha evitato di dispiacere Obama e ha fatto un favore alla Germania. Infatti, il progetto di gasdotto South Stream, sul quale l’Italia aveva fortemente investito negli ultimi dieci anni, non passerà più per il nostro Paee. Nella società che gestisce il progetto, l’Eni, ha ridotto la sua quota al 15% soppiantata da tedeschi e francesi e il nuovo percorso passa tutto per i Balcani sino all’Austria (e di lì in Germania) evitando anche il passaggio per Tarvisio, per cui l’Italia sarebbe tagliata completamente fuori. Adesso sarà quindi la Merkel a doverne discutere con Obama che resta ancora ostile alla sua realizzazione.
C’è da sperare che a fronte di queste gentili “concessioni” l’Italia ottenga qualcosa d’altro. Per ora c’è solo la “pagellina” dell’Ue che ha confermato l’ammanco di 9 miliardi di euro per le politiche economiche del governo Renzi, rimandando a settembre il giudizio finale. Quindi, l’austerità e le stringenti regole di bilancio e sul rientro del debito pubblico restano per ora intatte.
L’Ue si trova di fronte da un lato a un risultato elettorale molto deludente e dall’altro alla richiesta americana di chiudere subito sul Ttip. Le difficoltà europee le conosce anche Obama e cerca di non farsi scappare la preda. Sapremo tra qualche giorno che risultati porterà la sua seconda visita in Europa nel 2014. Intanto, il quadro politico europeo è poco rassicurante. Il francese Le Monde ha disegnato una bella cartina (riportata a fondo pagina) che descrive graficamente il rompicapo europeo (in blu i paesi stabilmente a guida Ppe; in rosso quelli che hanno visto la forte affermazione anti-europeista; in rosa scuro la sinistra europea; e in rosa chiaro quelli dove si sono affermati partiti socialdemocratici del gruppo S&D). Tra i grandi paesi risalta l’anomalia italiana che non ha scelto l’europeismo conservatore ma quello piuttosto indefinibile dei socialdemocratici, e non ha avuto il coraggio di sostenere l’anti-europeismo. Tutto questo non fa che aumentare l’ossessione della Merkel con Renzi. Che farà in sede europea? Con chi si schiera? Come fare un compromesso con lui che vuole fare il “matador”? Quindi, Renzi ha sicuramente una carta negoziale potente tra le mani.
Il problema è che Renzi non può scontentare né la Merkel, né Obama. Chiuso in questa forbice, il rischio è che scontenterà i suoi elettori che subiranno la continuazione dell’austerità con altre parole e la probabile conclusione dell’accordo sul Ttip. Perché quest’ultimo possa portare un qualche beneficio ci vogliono grandi gruppi industriali e finanziari che dal libero mercato trarrebbero vantaggi. Il caso italiano, diversamente dalla Germania, vede tante medie imprese ma la desertificazione dei grandi gruppi. Quindi, fatta eccezione che per pochissimi, il Ttip non farà bene alla crescita economica italiana, ancor meno a quella del comparto agroalimentare su cui punterebbe l’Expo 2015. Sul piano energetico, pur se tra alcuni anni, le forniture di gas americano provocheranno un sensibile aumento dei prezzi con conseguente ricaduta negativa sul consumo industriale e domestico.
Contentarsi di un Commissario al commercio o all’industria, e di un vicepresidente del Parlamento europeo, sarebbe una sconfitta per l’Italia. Vista la situazione, e considerato il messaggio di Obama, l’Italia dovrebbe puntare senza indugio al posto di Alto Commissario per la politica estera e di sicurezza. La questione che c’è l’italiano Draghi alla Bce è fuffa, visto che la Bce non è un’istituzione europea (tecnicamente solo la Commissione, il Consiglio e il Parlamento sono istituzioni dell’Ue).
Ottenere un tale posto permetterebbe all’Italia di riorientare la visione strategica dell’insieme dell’Ue uscendo dal tunnel baltico nel quale si è infilata dal 1991 in poi. Con una nuova visione strategica dell’Ue, cioè con un suo collocamento geopolitico serio nel sistema globale, si intercetteranno i flussi finanziari di cui l’Ue ha bisogno per crescere e per mantenere in piedi le politiche comuni d’integrazione e la pace sociale. Speriamo che Renzi dia prova di coraggio e lungimiranza negoziando bene con Obama e Merkel.
Almeno questa volta dobbiamo essere tutti renziani. L’alternativa sarebbe terribile: senza il Ttip, Obama rischia seriamente di essere schiacciato dalle correnti trasversali neocons nelle elezioni dimid term, e senza l’Italia, la Germania resta da sola rischiando di cadere negli eccessi già conosciuti nel passato.