Le vittime palestinesi continuano ad aumentare dopo che Israele e i militanti di Gaza hanno proseguito un intenso scambio di missili nell’intera giornata di sabato. Da quando Israele ha iniziato le sue operazioni cinque giorni fa almeno 127 palestinesi sono rimasti uccisi, secondo quanto riferiscono fonti palestinesi. Per l’Onu tre-quarti di queste vittime sono civili. Come spiega Camille Eid, professore dell’Università Cattolica e giornalista di Avvenire, “non è un caso che l’offensiva di Israele avvenga proprio mentre l’intero mondo arabo è in subbuglio, in quanto l’obiettivo di lungo termine di Netanyahu non è colpire Hamas bensì cambiare faccia all’intero Medio Oriente per risolvere i problemi di casa propria”.
Professore, dalla reazione di Israele si direbbe che gli sia sfuggita la situazione di mano. E’ davvero così?
Israele non prende mai decisioni affrettate, è tutto calcolato e la domanda che ci si deve porre è quale sia il suo obiettivo. Se è quello di indebolire Hamas per avere un sostituto nella striscia di Gaza, è chiaro che questo sostituto non potrà essere Abu Mazen bensì le fazioni ancora più radicali legate ad Al Qaeda o peggio ancora a Isis, cioè al Califfato islamico di Al-Bagdadi. E’ uno scenario simile a quello cui abbiamo assistito in Libano, quando la presenza dei fedayyin è stata sostituita da Hezbollah, e se ora si togliesse di mezzo Hezbollah ci troveremo a che fare con l’Isis. Sono perplesso per questa decisione anche per quanto riguarda il timing.
Che cosa non la convince?
Il Medio Oriente assomiglia a un lungo filo collegato a un barile di esplosivo, un po’ come nei vecchi cartoni animati. Il Libano è collegato alla Siria, all’Iraq, al Kurdistan, all’Iran e alla Turchia. Tutta la zona è presa da un’ansia generale, fino a poche settimane fa la Palestina sembrava fare eccezione e guarda caso proprio lì avviene l’ennesima operazione israeliana. Il rischio è che quanto sta avvenendo a Gaza si ricongiunga con il resto del filo e faccia esplodere la dinamite.
Quali scenari si attende per i prossimi giorni?
Il fatto che Israele abbia richiamato 20mila riservisti significa che ha intenzione di portare avanti le sue operazioni per almeno un’altra settimana o dieci giorni, e che prevede di attuare anche un’offensiva di terra.
Qual è l’obiettivo immediato di Israele?
L’obiettivo diretto è quello di colpire Hamas, anche se è abbastanza inspiegabile che Israele abbia deciso di farlo proprio adesso. Il movimento palestinese si è infatti recentemente riavvicinato ad al-Fatah, e ha così implicitamente accettato negoziati con Israele.
E l’obiettivo di lungo termine?
L’obiettivo invisibile e a lungo termine di Israele è quello di ridisegnare la cartina dell’intero Medio Oriente. Basta che si ricongiungano tra loro le singole crisi “locali”, come Israele-Palestina, Libano, Siria e Iraq, per arrivare a questo ridisegno geografico dell’intera regione. E’ esattamente lo scenario che si è verificato cento anni fa. Mentre gli arabi preparavano la rivolta contro i turchi, c’era chi tramava per modificare l’intero assetto dell’ex Impero Ottomano.
Può spiegare meglio il significato di questa “spartizione” del Medio Oriente?
Quella che si sta delineando è una tripartizione per l’Iraq, con la creazione di uno Stato sunnita che si staccherà da Baghdad e che comprenderà anche buona parte della Siria. Ciò provocherà automaticamente la nascita di uno Stato alawita lungo la costa del Mediterraneo e di uno Stato libanese nel quale non si sa bene quanto spazio ci sarà ancora per i cristiani.
Lungo quali linee Israele vuole ridisegnare la mappa del Medio Oriente?
Lungo linee strettamente confessionali o etniche. E’ un “sogno” che risale agli anni Quaranta del secolo scorso, ancora prima della nascita di Israele nel 1948. Nelle memorie dei leader israeliani si evoca il disegno di una Siria e di un Iraq divisi in tanti piccoli Stati, sulla base appunto di linee confessionali. Ciò serve a giustificare la presenza di uno Stato ebraico nella zona.
Che senso ha riproporre questo progetto?
Il tema di Israele come Stato ebraico è tornato alla ribalta negli ultimi due anni in modo veramente insistente. Lo stesso Netanyahu ha detto che voleva che i palestinesi riconoscessero Israele in quanto Stato ebraico, distinto dalla Palestina in quanto Stato palestinese. Ciò con tutte le sfumature che questa decisione può comportare, in primis il trasferimento della popolazione arabo-israeliana della Galilea verso questa nuova Palestina. Il peso demografico degli arabi di cittadinanza israeliana, che ormai hanno raggiunto il 20% della popolazione, fa sì che l’unica salvezza per Israele sia quella di costringerli all’esodo.
(Pietro Vernizzi)