Il caso delle spie a Berlino ha implicazioni geopolitiche evidenti, ma, ancor di più, ha una serie di sottintesi di cui nessuno per ora parla in Italia. Anzitutto non è certo una novità che Berlino pulluli di spie. La sequenza dei giorni scorsi ha una tempistica impressionante: 3 luglio, arresto di un funzionario del ministero degli Interni, “beccato” con un fascicolo riservato destinato alla Nsa; 9 luglio, arresto di un altro funzionario tedesco che stava consegnando agli americani gli atti, secretati, della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Nsa; 10 luglio, espulsione del “rappresentante Cia in Germania. Oggi, 12 luglio, la Frankfurter Allgemeine Zeitung mette in prima pagina l’ira di Washington, inizialmente stupita della reazione tedesca e chiusasi in un prudente silenzio, poi manifestatasi in una dichiarazione del capo della Cia, John Brennan, secondo cui ci sarebbero stati altri canali, più prudenti, per risolvere la controversia.
In breve, gli Stati Uniti non gradiscono la pubblicità data all’affaire dell’espulsione di un proprio alto funzionario. Sempre la Faz, peraltro, sottolinea che non è la prima volta che una cosa del genere capita. Lo aveva già fatto la Francia nel 1995, espellendo quattro agenti della Cia. Il richiamo al caso francese e, dunque, a un alleato degli Stati Uniti che ha sempre preteso, da De Gaulle in avanti, di essere considerato un partner alla pari, è fortemente significativo e fa il paio con le dichiarazioni del ministro degli Esteri tedesco Steinmeier: certe cose non si fanno con i propri alleati. È, però, appena il caso di ricordare che il diritto internazionale, a partire da quello romano, conosce forme diverse di alleanza: equa o iniqua (non equa), appunto, e che, quindi, il termine “alleati” può essere interpretato e giocato in maniere molto diverse, se non contrastanti.
Quel che nessuno dice è che una decisione “pubblica” (che è quel che brucia negli Usa) di questo genere non sarebbe mai stata possibile senza un preciso via libera da parte del prudentissimo governo tedesco. Frau Merkel non è Margaret Thatcher, né può permettersi di esserlo, in un paese, come la Germania (e come l’Italia) che sconta ancora il ruolo di perdente nell’ultima guerra mondiale. La pubblicità data all’affaire Nsa/Cia è un’evidente richiesta di ridefinizione del proprio ruolo di alleato, con allegata maggiore autonomia, in un momento delicatissimo di riscrittura degli scenari europei e internazionali.
L’altro aspetto, ancor più sottaciuto, è che dentro questa vicenda le parti in causa non sono affatto solo due – Nsa/Cia e controspionaggio tedesco –, ma che di mezzo c’è, inevitabilmente, anche la Russia di Vladimir Putin. A Berlino non ci sono solo spie americane. I russi vi sono di casa e da parte loro di sicuro un aiutino al controspionaggio tedesco è arrivato e continuerà ad arrivare. Gli americani lo sanno e ancor di più sanno che c’è un’evidente spinta geopolitica della Germania verso est.
È la vecchia storia, ripetuta ma mai sino in fondo compresa, dello scontro tra Leviathan e Behemot, di cui parla Carl Schmitt nel suo volume Terra e mare, lo scontro tra una potenza marittima e una potenza continentale, tra asse atlantico e asse euroasiatico. Gli interessi geopolitici e la stessa posizione geografico-economica della Germania spingono verso una concezione dell’Europa non atlantica, ma continentale, dal Portogallo agli Urali, da ovest a est, che è proprio ciò che gli Stati Uniti – o meglio la loro ormai stantia dirigenza neocon – vorrebbero evitare e impedire.
Frau Merkel non sta affatto spingendo verso la rottura, ma, al contrario e come è nel suo carattere, sta mediando tra tensioni diverse, quelle ufficiali, dipendenti dal sistema di alleanze Ue e Nato, e quelle non ufficiali o “sotterranee”, che vengono dalla storia e dalla geopolitica. In Italia non lo ha scritto quasi nessuno, ma il walzer di luglio delle spie americane a Berlino ha avuto un antecedente importante lo scorso 28 aprile, proprio in Russia. A San Pietroburgo, al ricevimento ufficiale in onore dell’ex cancelliere Schröder, presenti Putin e i vertici di GazProm, c’era anche Philipp Missfelder, già presidente della Junge Union, l’organizzazione giovanile della Cdu, il partito di Frau Merkel, recentemente eletto al Bundestag con una valanga di voti.
I vertici della Cdu non l’hanno presa bene, almeno ufficialmente, e Missfelder è stato sconfessato, ma senza alcuna vera conseguenza politica. Gli americani lo sanno e sanno anche che la corrente filorussa in Germania è fortissima e percorre, trasversalmente, tutto l’arco politico, inclusa la Cdu-Csu, oltre che l’opinione pubblica che, nel caso della guerra civile in Ucraina, dimostra parecchia comprensione per la causa delle aeree russofone dell’est di quel paese.
Sempre trasversale è lo sdegno, peraltro moderatissimo nei toni, che si coglie di fronte alle parole del Presidente della Cia, John Brennan, che, giovedì scorso, avrebbe dichiarato che ora, dopo il caso delle spie a Berlino, la Germania sarebbe meno sicura, poiché, essendo dipendente dal sistema di intelligence americano, sarebbe esposta al rischio di minacce alla propria sicurezza. Benzina sul fuoco delle teorie cospirazoniste. Un messaggio di questo genere, letto dall’Italia, suona, quanto meno, come un “pizzino” e, di certo, non depone a favore di un’idea paritaria di “alleanza”.