“Israele continuerà i raid aerei su Gaza finché Hamas non interromperà il lancio di missili sulle nostre città. Il governo Netanyahu sta vagliando l’ipotesi di un’invasione di terra limitata per colpire la potenza militare di Hamas, i tunnel e le infrastrutture per la produzione e il lancio di missili”. Lo rivela Michael Herzog, esperto militare israeliano, generale riservista e autore di commenti per i quotidiani Haaretz e Financial Times. Migliaia di palestinesi sono in fuga dalla parte settentrionale di Gaza dopo che Israele ha annunciato che avrebbe colpito l’area con una campagna finalizzata a fermare gli attacchi missilistici. Secondo l’Onu già 4mila palestinesi hanno cercato la salvezza nei rifugi mentre gli attacchi aerei di Israele continuano per il sesto giorno.



L’annunciata invasione di terra di Gaza alla fine ci sarà?

Non lo escludo. Dipende se le incursioni aeree saranno sufficienti per convincere Hamas a interrompere il lancio di missili su Israele e impegnarsi per un cessate il fuoco. In sei giorni di operazioni israeliane, Hamas ha lanciato circa 700 missili sulle nostre città. Se Israele convincerà Hamas ad accettare un cessate il fuoco, un’operazione di terra non sarà più necessaria, altrimenti potremmo passare alla fase due.



Quanto fa sul serio Netahyahu quando parla di un’invasione di Gaza?

Un’operazione di terra non è l’opzione preferita dal governo israeliano, né una misura che si affretterà ad attuare. I nostri politici non desiderano arrivare a questo punto, nessuno vuole una nuova guerra nell’arco di pochi mesi, ma la realtà è che di tanto in tanto subiamo un nuovo affronto e Hamas deve smettere di lanciare i missili sulle nostre città.

Se Hamas non accetterà un cessate il fuoco, fino a che punto si spingerà la risposta di Israele?

Il governo israeliano non vuole conquistare la Striscia di Gaza né distruggere Hamas. Potrebbe però decidere di attuare un’invasione di terra limitata per colpire la potenza militare di Hamas, i tunnel e le infrastrutture per la produzione e il lancio di missili.



C’è il rischio che colpendo Hamas si rafforzino anche in Palestina gruppi più estremisti come l’Isis?

E’ una buona domanda, per Israele il dilemma è come trovare il giusto equilibrio. In definitiva Hamas è la più forte organizzazione presente a Gaza, e Israele la considera responsabile per quanto avviene nella Striscia. Da un lato vogliamo colpire e fare pressioni su Hamas, affinché diventi suo interesse accettare un cessate il fuoco. Dall’altra non vogliamo indebolire troppo Hamas per evitare che gruppi salafiti o jihadisti finiscano per riempire il vuoto che si creerebbe. Di recente Hamas ha accettato un accordo con il partito Fatah di Abu Mazen.

 

Che cosa sta avvenendo realmente nel partito palestinese?

Hamas sta attraversando una crisi politica e finanziaria senza precedenti. L’Egitto ha definito Hamas “un nemico”, ha chiuso i valichi al confine con Gaza e ha distrutto i tunnel sotterranei di cui l’organizzazione palestinese beneficiava e si serviva. Anche Damasco e Tehran hanno smesso di sostenere Hamas per la posizione assunta dal partito palestinese nella guerra siriana. Hamas è inoltre sfidata nella stessa Striscia di Gaza da parte di altre organizzazioni estremiste.

 

L’accordo con Fatah sembrava però una svolta moderata da parte di Hamas…

I leader politici di Hamas sperano di superare i loro stessi problemi attraverso la riconciliazione con Fatah. Questo accordo presenta però diversi problemi. In primo luogo Hamas sperava che Fatah avrebbe pagato gli stipendi degli oltre 30mila dipendenti pubblici assunti a Gaza in occasione del colpo di Stato del 2007. Fatah ha però risposto che non intendeva pagare per questi lavoratori. L’uccisione dei tre teenager israeliani in Cisgiordania a quel punto ha portato alla crisi cui stiamo assistendo.

 

C’è il rischio che la crisi di Gaza crei un effetto domino con Siria, Iraq e Libano?

Non credo che quella di Gaza eclisserà le altre crisi mediorientali, e d’altra parte se si osserva le risposte dei principali Stati arabi non c’è molta simpatia nei confronti del partito di Hamas. Agli sciiti Hamas non piace e i jihadisti la sfidano, e non c’è un solo Stato arabo che offra un sostegno fattivo al partito palestinese. Hamas è abbastanza isolata e ciascuno dei Paesi del Medio Oriente che lei ha menzionato ha dinamiche proprie che non sono condizionate da quanto avviene nella Striscia di Gaza. Non ci sarà quindi nessuna conseguenza né in Siria né in Iraq né in Libano.

 

Per alcuni commentatori Israele punta a ridisegnare la mappa del Medio Oriente lungo linee confessionali. Come valuta questo scenario?

Lo ritengo assolutamente, totalmente irrealistico. Israele non ha neanche in parte il potere per giocare un ruolo di così ampio respiro e sconvolgere l’intero Medio Oriente. Non siamo una super-potenza, e soprattutto la creazione di due Stati confessionali, uno sunnita e uno alawita, non ci converrebbe perché entrambi sarebbero ostili nei confronti dello Stato di Israele.

 

Israele ha risposto alla morte di tre suoi cittadini uccidendo 159 palestinesi, molti dei quali civili. Esistono due pesi e due misure?

Quanti criticano Israele affermando che la sua risposta sarebbe sproporzionata dovrebbero suggerire una soluzione alternativa. Duecento missili sono stati lanciati sulla popolazione civile delle nostre città, da parte di militanti che si nascondono tra i civili utilizzandoli come scudi umani.

 

Che cosa fareste voi occidentali se qualcuno scagliasse dei missili sopra le vostre teste e contro le vostre famiglie?

Non nego che ci siano state vittime nella Striscia di Gaza, lo ritengo un fatto innegabile, triste e deprecabile. Ma è un dato di fatto che ci sono infrastrutture e leader militari accampati tra i civili e che negli ospedali di Gaza sono nascosti dei missili.

 

(Pietro Vernizzi)