Pronunciato sulla falsariga del discorso della vittoria di Obama nel 2008, oggi Matteo Renzi ha rotto con la “noia” europea aprendo la stagione della “smart Europe”, l’Europa intelligente. Nessuna promessa, ma uno sfoggio di saggezza positiva e rivolta al futuro. Accompagnato da una compostissima Mogherini, la signora Seae in pectore, Renzi ha evocato emozioni classiche usando un linguaggio giovane, inusuale nella noiosa Europa.
In un afflato di teleologia europea, Renzi ha rivendicato che la crescita “serve all’Europa, e non a un singolo Stato membro”, che “l’Europa non si costruisce in opposizione a un grande Paese vicino” – un forte richiamo alla necessità di avere relazioni costruttive con la Russia – e che “Israele ha il dovere piuttosto che il diritto di esistere”. Quest’ultima affermazione è forte perché richiama Israele a comportarsi in modo responsabile e maturo nel rispetto dell’esistenza dei vicini arabi. Quindi la realtà europea è per Renzi finalizzata allo sviluppo di rapporti solidi e stabili con l’Est (Russia) e con il Sud (Israele e Nord Africa). A tratti echeggiava Moro e ad altri Berlinguer.
In questo, il suo discorso è stato un cambiamento dirompente: nessun accenno alla necessaria alleanza con gli Stati Uniti d’America! Sicuramente non sarà sfuggito che il Premier italiano ha con orgogliosa responsabilità di statista rivendicato un ruolo primario, non quello di fedele alleato subalterno, nella gestione delle crisi che si stagliano dall’Africa sub-sahariana al Pakistan. Riecheggiavano passaggi sublimati del Craxi statista.
Fin qui importanti sono state le affermazioni orgogliose dei principi, ma la vera svolta è avvenuta quando Renzi ha rappresentato, con grande abilità retorica, il dramma psicologico della crisi europea. Il dramma ha ben descritto la crisi esistenziale di una generazione bloccata dall’eredità ricevuta (dagli americani), cioè la pace in Europa. Una piece davvero bombastica in un contesto di brontosauri delle burocrazie europee. Al noioso europeismo chiuso in una sterile litania edipica e narcisistica – l’Ue è occupata da 20 anni da figure freudiane e magrittiane – Renzi ha detto che “la nostra generazione ha il dovere di meritarsi l’eredità”.
“La generazione Telemaco”, non quella molliccia e assistita degli “Erasmus boys” che restando giovani per sempre sono dei narcisi, e neppure quella austera e rigida dei padri padroni dell’europeismo che vivono nel complesso edipico dei padri fondatori, è quella che deve rispondere all’evaporazione dei “padri” con azioni e fatti degni di un’eredità autenticamente generativa. Ecco la “generazione Telemaco”, i giusti eredi dell’europeismo. Un concetto che fa eco al rivoluzionario Bergoglio che ha rottamato la vecchia Curia, aprendo a un Sinodo sulla famiglia aperto e inclusivo, con la finalità di far rinascere il cristianesimo operoso e attivo anche in Occidente. D’altra parte, il Papa ama ripetere che l’eredità del Padre richiede azione più che contemplazione.
Non c’è che da plaudere al coraggio di Renzi che nella tana dei brontosauri ha affermato che non si può morire per l’euro: “Il nostro futuro non è solo la moneta che abbiamo in tasca”. Superando le migliori aspettative degli euroscettici, proprio perché sono state parole pronunciate dal capo di un governo europeista e non da un leader arrabbiato di opposizione, Renzi ha annunciato che la “voce dell’Italia sulle materie economiche si farà sentire”. Altra tagliente sfilettata a chi immaginava un’Italia in cerca di comprensione e favore dei potenti, per elemosinare un qualche sconto di pena fiscale e di bilancio. Non un arroccamento sovranista, ma la discesa nel ring dello scontro sull’applicazione delle regole del gioco europeo, regole ereditate e che non ha chiesto di cambiare (almeno per ora).
Questo capolavoro politico degno della più grande tradizione del cattolicesimo sociale non poteva non contenere anche un messaggio etico. Infatti, Renzi ha fatto esplicitamente richiamo allaGemeinshaft europea, cioè a quella comunità di valori identitari per cui essa stessa ha la dignità di esistere. Con un accenno al liberalismo illuminato e progressista, Renzi ha evocato i “valori comuni europei” per cui non si può restare silenti e inattivi quando il fanatismo religioso rapisce e condanna le donne, quando la barbarie settaria distrugge le vite di milioni di persone non solo in Africa. “Abbiamo un obbligo civilizzazionale”, ha detto. Parole che in Francia, Belgio e Regno Unito non sono passate inosservate. L’Africa deve vedere in noi europei non solo e non tanto un partner commerciale, ma un faro di una civilizzazione, una società aperta che ispira il resto del mondo.
Quindi non un’Europa super-Stato aggressivo, opprimente e forte di eserciti e regole, ma un concetto olistico e progressista di società. Echeggiano i concetti cari a George Soros, ma è diametralmente opposto al narcisismo utilitarista dei Massimo D’Alema e dei Tony Blair che furono padri di quella “terza via” della socialdemocrazia di mercato. Tanto è vero ciò che al Blair inviato di pace non resta null’altro che fare il consigliere della giunta militare al governo in Egitto, e a D’Alema di coltivare le sue vigne. In un colpo solo i Romano Prodi, gli Enrico Letta, e i Tony Blair, sono stati tutti consegnati alla storia.
Auguriamoci che l’epilogo di questa incipiente avventura europea di Renzi-Telemaco non segua la falsariga tracciata da Omero nell’Odissea. Sinceramente e di cuore mettiamo in guardia il Renzi-Telemaco dalle Sirene.