L’Argentina è ufficialmente in default, per la seconda volta in tredici anni. Fallito ogni tentativo di accordo con i due fondi di investimento americani Elliott Management e Aurelius Capital, i quali avevano rilevato il debito argentino dopo la precedente crisi. Il Paese è ufficialmente in bancarotta dalla mezzanotte di mercoledì 30 luglio. “L’Argentina ha scelto il default. Il mediatore ha proposto numerose soluzioni creative ma l’Argentina ha rifiutato di considerarle”, ha detto il rappresentante di uno degli hedge fund che hanno chiesto e ottenuto di essere rimborsati interamente per i bond su cui il Paese era andato in bancarotta tredici anni fa. Già poco prima della chiusura delle trattative, Standard & Poor’s aveva tagliato il rating di Buenos Aires da “CCC-” a “Selective default”: si tratta infatti di un default selettivo, che si verifica quando il debitore non adempie a una specifica emissione di titoli ma continuerà comunque a rispettare le obbligazioni su altre emissioni. Il governo argentino però non ci sta, precisando che non si tratta di un vero e proprio default che invece avviene quando non si paga: “Questo non è un default perché default è non pagare. La vita andrà avanti anche senza un accordo sul debito”, ha detto il ministro dell’Economia argentino, Axel Kicillof.
Il Paese infatti aveva stanziato già a fine giugno 539 milioni di dollari per pagare gli interessi sui bond nati dalla ristrutturazione del debito dopo il 2001. Questi fondi sono però stati bloccati dal giudice Thomas Griesa (il vero “responsabile” del default secondo l’Argentina), il quale ha stabilito che Buenos Aires dovrà prima versare 1,3 miliardi di dollari ai due hedge fund statunitensi che pretendono il rimborso della somma intera (ricordiamo che coloro che accettarono la ristrutturazione del debito dovettero rinunciare a una decurtazione di circa il 70%). Kicillof ha comunque chiarito che la trattiva non si fermerà, anche perché, come ha detto il mediatore tra le parti in causa nominato dalla corte americana, Daniel Pollack, “non si può permettere al default di diventare una condizione permanente altrimenti la Repubblica dell’Argentina e i detentori di bond, sia gli holdout sia gli exchange, soffriranno danni sempre più gravi e i cittadini argentini comuni saranno le vittime ultime e reali”.