Lo Stato Islamico in Iraq ormai è realtà, creatosi nell’indifferenza generale rotta solo da qualche sporadica dichiarazione che, ovviamente, non è mai arrivata al destinatario. A colui che si fa chiamare il “califfo” dello Stato Islamico ovvero Abu Bakr al-Baghdadi. Figura che, come sempre in casi come questo, era ben conosciuta ma che nessuno fino ad oggi ha mai valutato come un potenziale pericolo per l’Iraq sguarnito da ogni difesa dopo la dipartita degli americani. Dall’ottobre 2011, infatti, figura tra i tre terroristi maggiormente ricercati dal governo statunitense: il 31 ottobre 2010 il suo gruppo, ormai gemellato con Al Qaeda, prende in ostaggio tutte le persone presenti nella Cattedrale di Baghdad, compiendo un massacro.
Per sintesi ricordo solo questi particolari, che rendono però al-Baghdadi non un terrorista qualunque, ma un predestinato al ruolo di comando, l’unico riuscito nell’impresa di occupare uno Stato. E che io non sottovaluterei, soprattutto quando dice di voler “conquistare Roma”, frase tutt’altro che folkloristica e risibile, visto che il cavallo di Troia dell’estremismo e del jihadismo è ormai radicato nella nostra società, come ben abbiamo visto in Europa in questi anni.
Chi combatte in Iraq viene da tutto il mondo, dal Nordafrica fino alla Cecenia. Ma torniamo ad oggi, quando le agenzie battono un appello di decine di intellettuali, giornalisti, professori universitari iracheni, siriani, palestinesi e libanesi che definiscono l’avanzata in Siria e Iraq dei miliziani qaedisti dello Stato islamico, come “il nuovo volto del dispotismo”. Ambigua presa di posizione, e assai tardiva, se pensiamo che le manovre di annessione degli estremisti sono iniziate mesi fa.
C’è un dettaglio che però rende questo appello più coerente che mai con il momento, ovvero il sostegno che Al Qaeda nel Maghreb islamico ha certificato poco tempo fa nei confronti dello Stato Islamico dell’Iraq con una dichiarazione ufficiale molto attesa, nella quale descrive Abu Bakr al-Baghdadi come “il principe dei credenti”. Mai un uomo, al di là del Re del Marocco che è considerato discendente del Profeta, era stato nominato “principe dei credenti”. Almeno non nell’islam che siamo abituati a conoscere. E che il movimento a capo dello Stato Islamico, assieme ad Al Qaeda, vuole scalare per tramutarlo in qualcos’altro.
Un coacervo di estremismo e settarismo religioso, mescolati ad interessi politico-economici da concordare con le grandi potenze. L’appello degli intellettuali musulmani non arriva perché gli estremisti hanno occupato terre piene di petrolio o di risorse energetiche, cosa che maggiormente tocca i gruppi di potere economico, bensì per denunciare quello che è un vero e proprio tentativo di “occupazione” dell’universo islamico. Nominare un principe dei credenti al di fuori di ogni tradizione e regola stabilita significa la creazione di un altro islam, e di conseguenza la volontà di soppiantare quella che ad oggi viene considerata la nazione guida del mondo musulmano: l’Arabia Saudita.
È Riyadh l’obiettivo vero degli estremisti, traditi e abbandonati dopo le primavere arabe fallite? Chi gioca con i fili della conquista dell’Iraq e della continua tensione in Siria, creando di fatto uno Stato cuscinetto in Medioriente che possa diminuire la forza contrattuale e politica dell’Arabia Saudita? L’onda lunga del fallimento della primavera araba mostra ora i suoi frutti. Il gioco di potere geopolitico che soggiace a questa avanzata sottovalutata e indisturbata dei miliziani dell’Isis ha un solo obiettivo: ridisegnare la mappa dell’Islam mondiale, minarne le radici e ricostruire una dottrina che non guardi più alla Mecca come stella polare ma ad altri punti di interesse, le cui coordinate ben presto verranno chiaramente alla luce.