Buon compleanno bisognerebbe dire, ma purtroppo a tre anni dalla nascita nello stato del Sud Sudan di buono è rimasto ben poco. Sono quasi un milione gli sfollati e 300mila i profughi costretti a lasciare il paese a causa del conflitto tra dinka e i seguaci dell’ex vicepresidente di etnia nuer. E come se non bastasse, ora anche l’epidemia di colera a Juba, nella capitale, e a Torit. Anna Sambo, cooperante della Fondazione Avsi nel paese, ci racconta il clima che si respira nello stato più giovane del mondo martoriato dalla guerra civile e ora da una vera e propria epidemia.
Prima a Juba e ora a Torit, ma anche in altri Stati del Sud Sudan, il colera. È una malattia che si cura e si previene ma se non sei veloce, nulla.
Si teme la diffusione nei luoghi malsani come i campi degli sfollati e dove il sovraffollamento, ormai, non lo si misura più.
A Torit ci muoviamo: i nostri, con qualcuno di altre Ong, e il ministero della Salute dello Stato dell’Eastern Equatoria vanno in giro, in città, a spiegare alla gente che deve lavarsi le mani e che se sta male deve correre in ospedale. All’ospedale pubblico di Torit stanno montando delle tende, dove arrivano i pazienti per tenerli lontani dal resto dei malati.
Una malattia semplice, curabile, ma nelle condizioni che ci sono oggi nel paese diventa pericolosa.
A Ikotos nella zona vicino alle montagne non c’è ancora nessun caso, ma ci prepariamo con un Response Plan, dove il dipartimento della Salute della contea lavora con noi e con chi altro c’è per prevenire ed eventualmente per curare.
A Juba i numeri si sono stabilizzati. Come succede a Torit, anche a Juba all’inizio c’e stato un aumento vertiginoso. A Torit, in una settimana, i casi sono diventati quasi 250.
Chi c’è fa qualcosa ma le medicine (non solo quelle per il colera) arrivano con difficoltà per il passaggio alla dogana e per le strade che con le piogge sono difficilmente percorribili.
Facciamo quel poco che possiamo. Diciamo ai nostri colleghi di stare attenti. Tante cose fanno paura, ma poi si fanno.